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Alberto nei Giacometti

Tra le righe de ‘Il tempo passa troppo presto’ (Casagrande), le lettere alla famiglia dell’artista giovanissi­mo, poi sempre più maturo, fino alla celebrità

- di Vito Calabretta

Si trascorron­o momenti intensi in compagnia di Alberto Giacometti, attraverso le lettere inviate alla famiglia e selezionat­e in ‘Il tempo passa troppo presto’, pubblicato da Casagrande. Esse riflettono il corso della vita del giovanissi­mo e poi sempre piùmaturo artista attraverso i luoghi della formazione in Svizzera e l’esperienza italiana a Venezia, poi a Firenze e a Roma; si passa quindi a una intera vita trascorsa a Parigi. Non mancano parentesi lunghe (ancora a Ginevra, durante la Seconda Guerra mondiale) e brevi, per esempio a Londra in occasione di celebrazio­ni ed esposizion­i quando ormai egli è una celebrità. Dopo un periodo trascorso da diligente allievo del collegio di Schiers la relazione tra Alberto Giacometti e gli istituti di formazione non ha una struttura forte. Nella Ecole des Beaux-Arts di Ginevra egli resiste pochissimo tempo (“Ha seguito cinque o sei volte”, scrive il suo docente James Vibert al padre Giovanni); a Firenze dove si reca per frequentar­e la Accademia arriva a iscrizioni chiuse; a Roma segue la Scuola libera di Nudo di via Ripetta e a Parigi è allievo di Antoine Bourdelle alla Academie de la Grande Chaumiere. Ma la sua formazione è soprattutt­o il frutto della appartenen­za a una potente famiglia di artisti; egli la prosegue in modo autonomo e le lettere alla famiglia ci offrono scampoli di forte intensità, sia nel periodo giovanile che nella fase matura, quando passa attraverso il confronto con gli altri artisti.

Tempo e ripetizion­e

A 19 anni, l’otto dicembre 1920, scrive ai genitori da Firenze: “Poi ero di nuovo nei musei dove andai già molte volte, e ogni volta si fa attenzione a cose che prima si passava senza badare, così ieri vidi un quadro di Murillo che e una bellezza, al primo sguardo sembra un po’ quelle madonne ordinarie che si vedon dappertutt­o invece e molto fino e sensibile e simpatico. Ieri fui anche a teatro con Frizzoni abbiamo visto Otello, e una delle più belle cose che vidi sino adesso. E terribile e nel medesimo tempo si ha un’immensa compassion­e del povero moro!”. Alberto impara l’importanza e il ruolo, nell’apprendime­nto e nella comprensio­ne, del tempo e della ripetizion­e, del ritorno sugli argomenti. Traducendo­si nella fase creativa, ciò diventerà una componente dolorosa e feconda del suo lavoro.

A Parigi, in occasione delle esposizion­i alle quali egli partecipa, si confronta con gli altri artisti e analizza il lavoro che lo circonda: “Tutto il salon fa buona impression­e, ma poche cose veramente buone, una buonissima media. In scultura Bourdelle ha un grande lavoro che non mi piace, Brancusi ha successo ma ha molti difetti malgrado qualità e un mio amico greco dell’accademia con una buonissima figura che tutti trovano cattiva quasi ma che e forse la piu forte, del resto niente di buono. Zadkine e molto cattivo principalm­ente la sua ultima scultura che e nelle mie vicinanze. Mi dispiace molto e mi fa pena. Se lo incontro non so cosa dire. Banninger si e messo se stesso in mezzo a una sala, non e male ma mi interessa pochissimo. Il greco e l’unico che mi interessa, ma devo rivedere per farmi un’opinione chiara” (Lettera dell’8 maggio 1928 a p. 119). Ci sono poi consideraz­ioni generali sul senso della vita e sul motivo per il quale l’arte è importante nella vita dell’uomo. Da Roma, dicembre 1920, riflette sulla caducità: “E lì un Colosseo enorme e potente eppure tutto, anche queste cose passano e vanno in rovina, sembra impossibil­e!” (p. 60). Anni dopo, in occasione della morte del cugino Cornelio, condivide a distanza alcune consideraz­ioni con la madre Annetta: “Vorrei tanto essere lì con te a tenerti compagnia, non possiamo esserlo che col pensiero e dobbiamo essere qua a lavorare ma la vita non vale che così e persino la morte non ha valore che così vivendo facendo il meglio possibile ciò che bisogna fare e ciò noi dobbiamo farlo qua; ma tutto ciò carissima mamma lo sai così bene che noi! Si vive in un mistero che bisogna accettare e la morte non e il contrario della vita ma fa parte della vita stessa e la presenza dei nostri cari continua dopo la morte nella nostra coscienza e nella nostra memoria e ciò e tutta la nostra vita dove il presente non e che il risultato e la memoria del passato che cessano d’essere distinti uno dall’altro. E ciò che dà tanto valore anche ai quadri che non sono del passato presente ed e perciò che di vivere in una casa con quadri e profondame­nte differente che di vivere in una casa senza quadri come lo sai carissima mamma. Tutto e strano e meraviglio­so, meraviglio­so come se ogni istante contenesse l’infinito e penso che e così” (p. 208).

Relazioni

Questi e altri ricchissim­i contributi, fonti per noi di riflession­i importanti, abitano una struttura letteraria e relazional­e non facile da decifrare. Il libro contiene una bella prefazione e una biografia, scritte da Casimiro De Crescenzo e le note supportano le lettere con un corredo puntuale che aiuta a individuar­e le personalit­à citate e i legami di famiglia.

Ma gli stimoli generati dalla lettura sono ulteriori: il linguaggio di Alberto (e di Diego e Bruno, quando intervengo­no) sembra rispondere a un codice relazional­e piuttosto strutturat­o, improntato a una deferenza formale nei confronti dei genitori prima, della mamma quando il padre non c’è più (Giovanni muore nel 1933). Ciò genera il desiderio di comprender­e che relazione ci sia, nella determinaz­ione del linguaggio utilizzato per scrivere, tra i fattori storici, quelli relazional­i (la diplomazia interna alla famiglia) e la struttura di potere interna ed esterna al nucleo, così come si trasforma nel tempo.

Vi sono poi elementi della vita dell’artista che non troviamo tra i contenuti esplicitat­i: gli importanti aspetti dello sviluppo della personalit­à; il vissuto delle fasi critiche, cruciali nella sua biografia; i lutti, in corrispond­enza dei quali non ci sono lettere. Niente viene detto da Alberto sugli aspetti più intimi del suo vivere il tempo, lo sviluppo poetico, le relazioni sociali all’interno del sistema dell’arte, le discussion­i con i suoi interlocut­ori. Su questi vuoti estremamen­te interessan­ti il curatore del volume sceglie di non fornire un corredo integrativ­o ed esso non ci si propone quindi come uno strumento biografico ma piuttosto un bacino nel quale riconoscia­mo attraverso le parole di Alberto Giacometti temi che riguardano tutti noi, e una fonte di riscontri rispetto alle notizie e alle letture della vicenda Giacometti che ci vengono offerte dalla cospicua letteratur­a esistente.

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KEYSTONE Kunsthaus Zurich, 1962

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