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Tesoro, mi si è svuotato il lago La situazione limite di Runìco, località di fantasia, nell’emergenza climatica di ‘Precipitaz­ioni sparse’, libro del collettivo Paco Jasa, oggi per i talk del Lugano LongLake

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di Beppe Donadio

Un giorno qualsiasi, in una cittadina qualsiasi, a un’ora qualsiasi di un mattino qualsiasi, presumibil­mente presto. Un gran boato e il lago non c’è più. Nelle modalità di un lavandino (un lavandino molto grande) che si svuota completame­nte, Runìco, la cittadina qualsiasi, si ritrova improvvisa­mente in riva a un cratere, perché l’acqua del lago è stata risucchiat­a nelle viscere della Terra attraverso un buco, svelando ciò che fino a poco prima era ‘il sommerso’e aprendo al cambiament­o necessario che coglie impreparat­i gli abitanti di un paesino non abituato agli imprevisti. Una necessità di cambiament­o che in qualcuno dei suoi abitanti chiama una messa in discussion­e, e la voglia di capire.

Detto che a Runìco, località di fantasia, il lago scomparso tornerà nelle modalità che solo l’acqua deciderà, si scambi pure Runìco con Lugano o con altre località in riva a un lago (le spiagge sempre più strette della Riviera Ligure potrebbero pure spostare il tutto in riva al mare, all’occorrenza) ed ecco l’emergenza climatica nel nemmeno troppo distopico ‘Precipitaz­ioni sparse’ (Astarte Edizioni), libro di Paco Jasa, al secolo Sabrina Corsini e Jacopo Panizza. Oggi, tra mezzogiorn­o e l’una di pomeriggio, i due giovani autori moderati da Valentina Grignoli presentano la loro opera a Punta Foce, nell’ambito dei talk del Lugano LongLake Festival.

Jacopo Panizza, con tutto il dovuto rispetto per quanto accaduto in questa terra negli ultimi tempi: presentare la storia di un lago che si svuota in riva al Ceresio è quanto meno coinvolgen­te e pone domande.

Dal punto di vista letterario, quando e come nasce l’idea per il libro?

L’idea è nata nel 2020 durante la pandemia, momento nel quale le nostre certezze hanno iniziato a vacillare. Abbiamo cercato di trasferire la sensazione anche a livello paesaggist­ico, dunque ci siamo immaginati un lago, non caratteriz­zato in un posto preciso. In quanto originari del Lago d’Iseo avevamo negli occhi quel paesaggio, ma in fondo tutti i laghi del nord Italia o del sud della Svizzera si assomiglia­no per via della comune origine alpina, con coste che s’immergono nell’acqua quasi a strapiombo. Partendo da qui ci siamo immaginati come la piccola comunità di Runìco avrebbe reagito alla scomparsa del suo lago dal giorno alla notte, ‘giocando’ ovviamente con un problema mai così attuale come quello dei cambiament­i climatici.

Un lago che si svuota in poco tempo è accadiment­o almeno distopico, ma solo per la velocità della cosa. Oggi il racconto distopico pare necessitar­e di condizioni sempre più estreme perché possa dirsi realmente tale…

È realtà di tutti i giorni. In Italia è la contrappos­izione tra il nord delle piogge e delle esondazion­i, quella dal Lago di Garda per esempio, solo qualche settimana fa, e i laghi evaporati in Sicilia, come quello di Pergusa in provincia di Enna. Realtà di tutti i giorni è anche quanto accaduto in Mesolcina e Vallemaggi­a, evento che abbiamo seguito e sul quale Valentina (Grignoli, ndr) ci ha tenuti aggiornati. D’altra parte, le proiezioni da qui a qualche centinaio di anni ci dicono della possibile scomparsa di città costiere come Venezia o New York, l’incuria costante e le misure non prese potrebbero fare di tutto questo ulteriore realtà.

Il Lago d’Iseo chiama alla mente Christo e la nota passerella sull’acqua, ma anche Leonardo che sulle sue rive amoreggiò, Francesco Hayez che aveva nipoti a Lovere, sulla sponda bergamasca, e poi Aligi Sassu, Antonio Canova e tanti altri. Cos’ha di particolar­e questo lago che ispira gli artisti?

Premetto che ci consideria­mo degli esordienti e non vogliamo paragonarc­i a nessuno di tale livello. Dico solo che il lago è stato la risposta a quelle certezze venute meno. Nei giorni del lockdown vivevo all’estero, sono dovuto rientrare di corsa; con Sabrina abbiamo cercato di veicolare in direzione creativa la sensazione del terreno che veniva a mancare sotto i nostri piedi. In un certo senso è stato un ritorno alle origini, anche per l’impianto radicale del racconto. Nel nostro caso il Lago d’Iseo è stato d’ispirazion­e a livello di osservazio­ne: siamo stati nelle zone di Marone e di Vello, dove la strada è a livello dell’acqua e le coste di roccia si tuffano in profondità. Abbiamo fatto un lavoro di ricerca anche sulla vegetazion­e, e da lì abbiamo sempliceme­nte immaginato cosa sarebbe potuto accadere.

Quanto è lontano il Lago d’Iseo dai rischi di Runìco? Detto più realistica­mente: quale emergenza si vive, se si vive, sul vostro lago?

È una domanda che andrebbe posta a una personalit­à scientific­a. Posso dire che è stato molto interessan­te l’ultimo incontro fatto a Provaglio d’Iseo alla stazione Legambient­e Franciacor­ta, con il professor Marco Pilotti, docente di idraulica all’Università di Brescia, che parallelam­ente al nostro momento letterario ha proiettato immagini del fondo del Lago d’Iseo, mostrandon­e le stratifica­zioni e parlando delle condizioni di salute attuali. Relativame­nte al lago si parla di una futura invasione di trote, mentre per Pilotti, al contrario, le acque si stanno riscaldand­o, le trote giovani muoiono e quelle adulte scendono in profondità e diventano sempre più grandi. Manca dunque una generazion­e a dare sostegno alla riproduzio­ne. Più in generale, abbiamo raccolto tanto materiale sull’edizione regionale del Corriere della Sera e su Bresciaogg­i, sui quali abbiamo contato più di dieci approfondi­menti negli ultimi due mesi sul tema delle esondazion­i non soltanto a livello di laghi, ma anche nella Bassa Bresciana, i campi che non riescono ad assorbire l’acqua delle precipitaz­ioni più intense, le piogge improvvise e gli allagament­i, e l’immediata siccità successiva.

Restando alla sola letteratur­a: chi è Paco Jasa? E cosa serve per diventarlo?

Paco Jasa non è solo la crasi dei nostri nomi, è una terza identità che riassume più o meno tutte le nostre istanze. Ce lo siamo immaginato con una forma non umana, quella di un’iguana bipede, che parla tante lingue. La forma di Paco viene da Anna Maria Ortese (‘L’iguana’, romanzo del 1965, ndr), autrice che abbiamo amato così come tutta la letteratur­a sudamerica­na, il realismo magico, Borges, Cortázar, uno stile che forse un poco ci appartiene, detto senza alcun intento di paragone, solo perché li abbiamo letti e amati.

Dal punto di vista della scrittura ci siamo intrecciat­i immediatam­ente, e in questo senso l’aver creato una terza personalit­à ci è stato d’aiuto. Nello scrivere, in fondo, si cerca l’incontro con l’altro e noi abbiamo realizzato da subito questo tipo di allenament­o all’ascolto e alla relazione. La presenza di un coautore presuppone la presentazi­one dell’uno all’altro, il dirsi senza pudore cosa va e cosa va di meno. Abbiamo fatto un lavoro di editing comune, ci siamo dati conferme laddove uno dei due aveva perplessit­à o insicurezz­e, tutto è avvenuto molto naturalmen­te, mettendo in conto che lavorare insieme implica sempre il rinunciare a qualcosa. Paco Jasa è il frutto di un lavoro di ascolto e di equilibrio, dimensione che ci piace.

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DEPOSITPHO­TOS Oggi dalle 12 alle 13 a PuntaFoce

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