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I Nomadi, ‘sarà veramente bellissimo’

Parafrasan­do Augusto, anticipiam­o con Beppe Carletti il concerto del 28 giugno a Castel Grande, per il ‘Castle On Air’ che prende il via stasera con Annalisa

- di Beppe Donadio

Tutti in piedi, ingresso gratuito. Il live tour dei Nomadi, che dura più o meno ininterrot­tamente da oltre sessant’anni, tocca Bellinzona venerdì 28 giugno, parte del programma di Castle On Air, rassegna che si apre questa sera con l’atteso (è dire poco) concerto di Annalisa. Mutando parole da Augusto Daolio, insostitui­to e insostitui­bile frontman, e attingendo dal cofanetto che per titolo ha quella frase, ritroviamo Beppe Carletti, tastierist­a e co-fondatore dei Nomadi, e il suo splendido accento per ripercorre­re un pezzo di storia fra la via Emilia e Bellinzona.

Beppe Carletti: ‘È stato veramente bellissimo’ diceva Augusto. L’aggettivo è applicabil­e a un’intera carriera?

È la parola giusta, è quello che diceva lui alla fine di ogni concerto. Gli piaceva stare sul palco, ci restava anche tre ore e mezzo, e con questa frase intendeva il piacere di poter cantare le canzoni che amava, che è tanta roba. Qualcuno è costretto a cantare canzoni che non vorrebbe, la nostra forza invece è sempre stata quella di essere indipenden­ti, in grado di non farci contagiare da chi pretendeva che interpreta­ssimo un certo tipo di canzone anziché un altro.

È stato questo essere ‘indie’ prima che arrivasse l’indie a rendervi così longevi?

Siamo ‘indie’da mò (ride, ndr). Dirò una cosa che non c’entra con la domanda, ma un po’ sì: ci sono popoli che fanno la guerra per essere indipenden­ti, perché l’indipenden­za non ha prezzo. I Nomadi si autogestis­cono, non hanno nemmeno un manager.

Prima che il vocabolo si applicasse alla musica, i Nomadi sono stati ‘collettivo’, termine che a differenza di ‘band’ sottintend­e un viavai artistico senza scissioni o addii…

I Nomadi sono una formazione di venticinqu­e elementi in 61 anni nella quale ognuno ha dato il meglio di sé. Il fatto che io sia ancora qua a raccontarn­e la storia ha quasi dell’incredibil­e. È così non perché siamo i più bravi, ma perché la coerenza è una nostra bandiera. Negli anni la band è rimasta tale, fedele ai principi cui crede, abbiamo proseguito nel nostro cammino rispettand­o l’etica dei Nomadi e rispettand­o Augusto, che diceva sempre: “Beppe, pensa che bello se un giorno io e te non ci fossimo più e i Nomadi potessero proseguire…”. Questo era Augusto, questi sono i Nomadi. Di questa longevità parlavamo nei viaggi, guardandoc­i in faccia per chilometri.

Come si va avanti dopo avere perso un frontman che non era solo un frontman?

Ho creduto in me stesso, nelle cose fatte, ho dato tutto, in ogni momento. Sono sempre on the road, sulla strada, non mollo mai, sono un testone e questo mi ha aiutato. Ho sempre creduto in quello che facevo e in quello che sto facendo.

La storia dei Nomadi parte dalle balere, luoghi mitologici nei quali la discografi­a reclutava i session men. Solo chi suonava nelle balere poteva incidere i dischi, perché suonava di tutto: anche questo è servito?

La forza dell’Emilia e dei tanti gruppi e dei grandi musicisti che vengono da lì erano le balere, dove ti facevi le ossa, imparavi a stare in mezzo alla gente e a stare sul palco. La balera era un po’ una palestra, i ragazzi di adesso non ce l’hanno e io invece sono stato fortunato a potermici allenare. D’altra parte, quando Francesco DeGregori cita gli orchestral­i di Bologna, ci sarà ben un perché! (“Bologna coi suoi orchestral­i”, da ‘Viaggi & Miraggi’, 1992, ndr). Se un DeGregori dice queste cose, le mette in una canzone e le canta, valorizza tutto quello che abbiamo appena detto.

I frontman postAugust­o hanno lasciato tutti un segno, ma nessuno è mai riuscito a prenderne il posto, cosa che, se così si può dire, è stata una grande fortuna…

Sì, perché non si sarebbe mai potuto scegliere qualcuno che facesse il verso ad Augusto, sarebbe stata una pessima decisione e io non ci ho nemmeno mai pensato. Chi ha cantato al suo posto aveva e ha una personalit­à precisa, poi qualcuno ha avuto fortuna e altri meno, ma non è dipeso da me. Io ho solo dato loro una possibilit­à, ognuno si gioca le sue carte.

Nell’ultima intervista ti chiesi se con un tale bacino di fan i Nomadi non volessero provare con la politica. Nove anni dopo, visto il tendere di mani verso l’alto tornato di moda in Italia, non è che avete cambiato idea?

No, la musica non è politica, non ha colore, è per tutti, ognuno la può far sua come meglio crede.

E in fondo la vostra non è mai stata canzone politica, magari pacifista…

‘Pacifista’ è una definizion­e che si può spendere, ‘politica’no. Hanno sempre pensato che i Nomadi fossero di sinistra perché cantavano ‘Dio è morto’, ma quando quella canzone uscì, Radio Vaticana la trasmettev­a e la Rai no: come siamomessi? Erano altri tempi, ha dell’incredibil­e. Oggi possiamo comunque andare alla Rai a cantare ‘Dio è morto’.

‘Io vagabondo’, o ‘Dio è morto’: sono mai state ‘ingombrant­i’? C’è sempre qualche artista che dice di non andare d’accordo coi grandi successi…

Lo so, lo so, ci sono quelli che sono stanchi, che non se la sentono più, che non si riconoscon­o più! Faccio ‘Io vagabondo’ dal ’72 e ‘Dio e morto’ dal ’67, e spero di farle ancora un altro mezzo secolo.

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Concerto gratuito, quarto atto della rassegna bellinzone­se. Opening act Charlie Roe

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