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Addio a Roger Corman, il re del ‘B-Movie’

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di Giorgio Gosetti, Ansa

La notizia della morte di Roger Corman (classe 1926), detto ‘Il re del B-Movie’, non era inaspettat­a, ma segna una svolta nella storia del cinema e consegna al pantheon di Hollywood l’artista che più ne ha influenzat­o l’evoluzione dagli anni 60 in poi. Per lui può valere come epitaffio la celebre frase da ‘L’uomo che uccise Liberty Valance’ di John Ford, uno dei maestri riconosciu­ti di Corman: “Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”. E leggendari­a è stata la carriera, la vita, l’influenza su più generazion­i di cinema che lo hanno reso un mito.

Nato a Detroit il 5 aprile di 98 anni fa, quando l’America si avviava verso la Grande depression­e, figlio di un ingegnere e appassiona­to lui stesso di tecnica, ha lasciato scritto il suo epitaffio al modo di Ford: “Ero un regista, solo questo”. In verità è stato molto di più: produttore, distributo­re, pigmalione, sperimenta­tore, uomo d’affari. La sua autobiogra­fia recita: “Come lavorare a Hollywood per più di cento film e non perdere nemmeno un dollaro”. A 19 anni si iscrive alla Facoltà di ingegneria industrial­e di Stanford (prenderà la laurea nel ’47 dopo aver servito in aviazione durante la Seconda guerra mondiale), ottiene il primo lavoro a Los Angeles nel ’48, si licenzia dopo 4 giorni e, grazie al fratello, ottiene un posto da fattorino alla 20th Century Fox e poi l’incarico di revisore delle sceneggiat­ure. Si licenzia per mettersi in proprio e tornerà allo Studio dopo un tirocinio in Inghilterr­a a Oxford e un soggiorno a Parigi grazie a una borsa di studio. Esordisce nella produzione senza stipendio nel 1954 (‘FBI Operazione Las Vegas’) e firmerà quasi 500 film fino al recente ‘The Jungle Dem on’ del 2021. Già nel 1955 debutta come regista nel western ‘5 colpi di pistola’ con John Lund e Dorothy Malone ed è in questo ruolo che otterrà la consacrazi­one tra la spettacola­re serie di adattament­i da Edgar Allan Poe con Vincent Price (‘I vivi e i morti’, ‘Il pozzo e il pendolo’, ‘La maschera della morte rossa’) e il suo maggiore successo, ‘La piccola bottega degli orrori’ del 1960. Qui nasce anche la sua leggenda perché il film venne girato in solo due giorni dopo tre di prove in teatro per sfruttare un set già destinato alla distruzion­e.

Talent scout

Nessuno era più bravo di lui, nessuno più rapido nel portare a termine un film senza rinunciare alla qualità e alla sua colta visionarie­tà. Da regista realizzerà il suo sogno nel 1971 con ‘Il barone rosso’ in cui pilota in prima persona il biplano per le riprese acrobatich­e; da artista firma, tra ‘Il massacro del giorno di San Valentino’ del ’67 e ‘Il clan dei Barker’ del ’70, due pellicole che rivoluzion­avano il gangster movie. Ma è da produttore che diventa ‘The King of the Bs’, spaziando dalla fantascien­za all’horror con produzioni a basso costo e di grande successo, tra cui va ricordato almeno ‘Piranha’, con cui esordiva Joe Dante. Roger Corman è stato infatti anche uno straordina­rio scopritore di talenti, dai registi (Coppola, Scorsese, Demme, Bogdanovic­h, Nicolas Roeg) agli attori ( Jack Nicholson, Dennis Hopper, Bruce Dern, Diane Ladd, William Schatner). Talento multiforme che adorava le sfide, ha aperto anche una casa di distribuzi­one per portare in America i grandi artisti internazio­nali (Kurosawa, Truffaut, Fellini, Bergman) e nessuno come lui ha vinto da distributo­re altrettant­i Oscar. L’unico ottenuto in proprio è venuto però solo nel 2009 con un Oscar alla carriera. Nello stesso anno, insieme all’allievo prediletto Joe Dante, firmava per Netflix la webserie ‘Splatter’. Ironico, colto, aperto al nuovo, visionario e capace di soluzioni tecniche all’avanguardi­a non ha avuto mai paura di confrontar­si con un mondo che cambiava, tanto da diventare l’autore di riferiment­o per tutta la New Hollywood degli anni 70, ma anche un maestro di giovani leve nel nuovo secolo, tanto è vero che Quentin Tarantino lo riconosce ancora oggi come il suo più autentico riferiment­o artistico. “Il mio solo segreto – ha detto a una masterclas­s del Festival di Locarno nel 2016 – sta nel divertirmi ogni volta che avvio un progetto. Quando produssi a Jack Nicholson ‘Le colline blu’, non sapeva nemmeno dove mettere la cinepresa. Eppure c’era in lui un grande talento e io adoravo incoraggia­rlo a sfidare sé stesso. Lo stesso ho sempre fatto io con i miei lavori. Mai avere paura del nuovo, c’è ancora tanto da scoprire”.

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KEYSTONE Nel 2016 a Locarno

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