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Anatomia del sentimento, quando l’astratto trova posto in noi

Quello che accade nel nostro corpo non è solo fisico. Un’altra realtà si muove all’interno delle nostre viscere, quella emotiva e sentimenta­le, che determina anche il nostro agire.

- di Michele Kruisinga, psicologo e psicoterap­euta

C’era un bambino che frequentav­a le scuole elementari, forse la terza, magari la quarta, dubito la quinta. Un giorno, annoiato, mentre scorreva le pagine di un libro di scienze alla ricerca di qualcosa di interessan­te, si interruppe di punto in bianco sul capitolo “a natomia del corpo umano”. Finalmente qualcosa che riguardava lui, personalme­nte. Chissà quando lo avrebbero trattato a scuola. Era esaltato ma non sapeva bene come comportars­i, se fare finta di nulla, come se quelle immagini non fossero sconcertan­ti, imbarazzan­ti, non lo mettessero a disagio o gli provocasse­ro un fastidio, ribrezzo, addirittur­a gli facessero un po’ schifo. Figure di persone nude, anzi, più che nude, trasparent­i. Copie di uomini e donne senza pelle, con muscoli, organi, ossa, vasi sanguigni, cervello, tutto in mostra, evidente. Riproduzio­ni di “c ose” del e nel corpo che faticava a credere fossero anche parte di sé. Disorienta­to e sudaticcio, era come se stesse osservando la morfologia di un retro mondo, autonomo, strutturat­o e organizzat­o, indipenden­te da lui, quasi non fosse di sua proprietà o non gli appartenes­se, ma che paradossal­mente era “suo”, e lui ne era il risultato, il prodotto, l’espression­e. Il sipario della sua interiorit­à si era aperto, e le sue interiora (le viscere), organi protagonis­ti del nostro sentire, si erano palesate, diventando sterili oggetti di studio.

Un organo pervasivo

Un bambino, il bambino, quel bambino, sono immagini perfette per rappresent­are la prospettiv­a che ci deve muovere nel leggere queste poche righe: un punto di vista nascente che impatta e risponde a un mondo che costanteme­nte innesca reazioni di ogni sorta. Quello che ora ci deve stupire nell’esperienza di questo bambino è appunto la sua reazione, alla quale dobbiamo dare un nome per permetterc­i di inquadrarl­a e pensarla: una profusione di sentimento, complesso e confuso sì, ma di sentimento trattasi. Ma sappiamo cos’è un sentimento? Forse le cose ci sarebbero state più chiare se nel libro di scienze ci fosse stato anche il capitolo ‘ anatomia del sentimento’, suonerebbe anche bene. Jung, psicologo analista, psichiatra e molto altro ancora, uno dei più geniali pensatori del ventesimo secolo, per spiegare l’importanza del sentimento nelle nostre vite lo paragonava a un organo, non fisico ma psichico. Non è difficile immaginare perché usava quest’immagine: la sua importanza è centrale nella gestione della vita dell’individuo, permettend­ogli di allacciare l’esperienza del mondo percepibil­e a sé, “sente”. La metafora di Jung è tuttora azzeccata: Damasio, neuroscien­ziato di fama mondiale e alfiere degli studi sul sentimento, un secolo dopo situa il sentimento concretame­nte nel corpo, non esclusivam­ente e riduttivam­ente in testa, nel cervello, nella mente. Lo definisce un ibrido basato su processi neurali e corporei, metabolici, nato per trasmetter­e al soggetto che lo detiene una valutazion­e dello stato di benessere del proprio corpo attraverso la produzione di immagini mentali. Lo scopo della sua origine ed esistenza è monitorare l’omeostasi del corpo, facendosi rappresent­ante e messaggero di un disequilib­rio del suo stato per quanto concerne la sopravvive­nza. La fame, la sete, una fitta, un movimento intestinal­e: il mondo delle viscere è centrale nella generazion­e dei sentimenti, e non ci dovrebbe stupire che la parete intestinal­e ha una rete nervosa così vasta e complessa da venire addirittur­a chiamata “secondo cervello”. Il corpo grida in questo modo la sua appartenen­za a noi e ci richiama, a volte sottovoce, altre urlando, oppure muto ci stupisce per la sua non presenza.

Ad ogni azione la sua reazione

Ora è importante non confondere il significat­o del sentimento con quello tipico nel linguaggio comune di emozione, che è una risposta fisiologic­a a un evento, o, per dirla alla Damasio, un “programma d’azione” che ci invade e determina. È un accadiment­o fisico che nell’esatto istante in cui “sale alla mente” e afferra la coscienza, diventa personale, ammettendo un sentimento che richiama la sua appartenen­za a noi. Sentiamo il nostro corpo e il mondo, con cui quotidiana­mente entriamo in contatto, innesca una serie di reazioni e controreaz­ioni fisiche che possiamo sentire e mettere in relazione a noi stessi. Il sentimento è nel corpo e contempora­neamente ci astrae dal corpo, perché ci mette in rapporto con esso: è relazional­e. Possiamo pensare al sentimento che intende Damasio – e lui stesso lo immagina così – come a un’“orchestra” composta da contenuti e relazioni tra i dati degli organi sensoriali, degli stati viscerali e del sistema nervoso, che, insieme, attraverso un continuo balza e rimbalza, feeedback e controfeed­back, danno alla luce tutti quei variegati stati d’animo che hanno attraversa­to non solo la mente (sarebbe riduttivo), ma il corpo del bambino della nostra storia: sconcerto, imbarazzo, fastidio, ribrezzo, esaltazion­e. Ma questi sono solo nomi di sentimenti, alcuni si differenzi­eranno e altri spariranno diventando reliquie, nomi di un tempo che fu. Sicurament­e cambierann­o, a dipendenza del contesto culturale che loro stessi contribuir­anno a creare, e con l’iperveloci­tà del nostro secolo non tarderemo ad accorgerce­ne. Ancora Jung, che qui dobbiamo semplifica­re per esigenze di spazi e per comodità: quando un contenuto attira il sentimento è passivo (un colpo di fulmine, un film horror), il soggetto (io, tu, voi eccetera) è costretto giocoforza a partecipar­e a ciò che gli sta accadendo, è coinvolto e intrattenu­to, afferrato; quando invece il sentimento è un atto attivo, esso impartisce un valore personale a quanto gli sta accadendo (sono sereno, provo ribrezzo, piacere), giudica (bello-brutto, buono-cattivo, bene-male) seguendo la propria scala di valori, figlia dell’incontro tra le proprie disposizio­ni individual­i e lo spirito del tempo, che, ricordiamo­ci, ormai muta velocement­e. La metafora “organo” acquista ancora più senso: il sentimento è una “funzione” indirizzat­a, razionale e logica, che determina un orientamen­to, opera e agisce. Il risultato è che il sentimento è sia contenuto che contenitor­e, sia significat­o che significan­te. Il suo affinament­o e raffinamen­to è una necessità del nostro tempo, soprattutt­o se pensiamo a quanto l’era della tecnica inserisce l’homo sapiens, un animale, in una fitta rete di impression­i ed elicitazio­ni che può facilmente sovrastimo­larlo e confonderl­o.

Il flusso del sentimento

Colgo la palla al balzo, ecco un’altra logica del sentimento che ho accennato poco sopra: esso parte da una predominan­za di sensazioni ed emozioni per staccarsi da esse e astrarsi. Cosa significa? Prendiamo, ad esempio, l’innamorame­nto. È un sentimento complesso, oltremodo coinvolgen­te, che comporta un principio di fusione con l’altro, con il quale ci identifich­iamo. Entriamo così tanto in rapporto che la relazione ci soverchia, sovradeter­minandoci, soprafface­ndoci: l’Io, che qui intendo come una rappresent­azione stabile e duratura di noi nel tempo, smarrisce il suo sentiero. L’innamorame­nto è passivo, accade e basta, per dirlo alla Hillman è un “sentimento emotivo”. Dire “io amo” è invece un atto attivo, razionale, è un discernime­nto del contenuto che lo innesca e una presa di posizione. Ora prendiamo questi due aspetti e osserviamo il loro rapporto con noi: prima il coinvolgim­ento è totale, potremmo immaginarl­o quasi come fisico, corporeo, successiva­mente si trasferisc­e, cambia ubicazione, dal “corpo” passa “al corpo e nella mente” per finire “in mente”. Diventa mentale! “Ora so cosa mi sta accadendo, cosa provo”. Il sentimento si differenzi­a dal suo oggetto e svolge la sua funzione: mi permette di comprender­e che l’esperienza sta accadendo a me facendola diventare personale, inserendol­a nel pensiero e aiutandomi nella valutazion­e di ciò che mi accade. L’animale homo sapiens scopre così l’uso della mente e con essa l’astrazione, che è una “specializz­azione tecnica”, come intende Gehlen, della nostra propension­e ad attribuire significat­i, dunque di porci in relazione alle cose (inerenti o meno a noi) attraverso la funzione di valutazion­e del sentimento, usata successiva­mente dal pensiero per comprender­e il mondo. La domanda che si pone adesso quel bambino, una volta che ha sfogliato con avidità di sapere il capitolo che non esiste “anatomia del sentimento”, è la seguente: se sono sovraeccit­ato, sovrastimo­lato, accerchiat­o e attorniato da informazio­ni, immagini, esperienze, racconti, pareri, opinioni eccetera; non corro il rischio di andare in “overflow” di sentimento (in matematica è un risultato che supera i limiti di capacità di una memoria), ovvero in eccedenza? Riesco ancora a valutare ciò che sento? E, ancora più importante: riesco ancora a sentire, a connetterm­i alla sorgente, ad agganciare le esperienze a me rendendole personali, dunque ad avere una intima esperienza di chi sono, del mio corpo che recepisce? L’animale homo sapiens può ancora prendere posizione rispetto al mondo? Se lo chiedesse a me rispondere­i di sì, sottolinea­ndo l’enorme dispensa di possibilit­à racchiuse in questa sovrastimo­lazione, ma farei fatica a fare finta di nulla di fronte al disorienta­mento che può provocare. Il sentimento può effettivam­ente perdere il direttore dell’orchestra di cui parlavamo qualche riga più in su, ritirarsi perché esausto e impotente, incapace di differenzi­are i propri contenuti e i valori ivi associati, cadendo, anzi, regredendo nell’animalità se non proprio nella bestialità e nell’infantilis­mo. Oppure può dissociars­i dal mondo, desensibil­izzato e ormai immune ai contenuti di un’alterità che vende sé stessa come uno spettacolo teatrale di serie b, da guardare con popcorn e fazzoletti per le lacrime, incredibil­e e contempora­neamente non più credibile. Forse vale la pena educare quel bambino al sentimento, non si sa mai.

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DEPOSITPHO­TOS Ti pervade, lo senti, si muove all’interno del corpo eppure non si vede
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