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Mio fratello Herbert Pagani

Artista e cantautore del futuro. A colloquio con la sorella, Caroline Pagani, che al Franco Parenti di Milano ne riporta in scena la storia

- di Sabrina Faller

Si intitola ‘Per amore dell’amore’ lo spettacolo multimedia­le dedicato al cantautore e artista visivo Herbert Pagani (1944-1988), nato a Tripoli in Libia da famiglia di ebrei sefarditi di origine ispanico-berbera, una carriera sviluppata­si fra Italia e Francia, con un finale prematuro dovuto a una leucemia fulminante. A distanza di molti anni dalla sua scomparsa, ci pensa Caroline Pagani, sorella dell’artista, a riportarne in scena le canzoni, l’arte, la poesia e la prosa a Milano al Teatro Franco Parenti dal 14 al 19maggio, accompagna­ta al pianoforte da Giuseppe Di Benedetto, per la regia di Giuseppe Marini, con gli arrangiame­nti di Alessandro Nidi. Attrice e autrice poliglotta, Caroline ha lavorato con registi come Giorgio Strehler, Luca Ronconi, Peter Greenaway, Calixto Bieito. Recentemen­te ha inciso un disco singolo (‘Palcosceni­co’) e un doppio album dal titolo ‘Pagani per Pagani’ con le più belle canzoni di Herbert Pagani, ospiti Danilo Rea, Fabio Concato, Shel Shapiro, Giorgio Conte, Francesca Della Monica, Moni Ovadia e altri.

Per le giovani generazion­i, che forse non lo conoscono: chi era Herbert Pagani?

Un artista poliedrico, che faceva comunicare tutte le arti, ed era un grandissim­o paroliere, perché scriveva testi per Giorgio Gaber, Dalida, Edoardo Bennato, collaborav­a con cantanti e cantautori, ad esempio il testo della canzone ‘Teorema’, cantato da Marco Ferradini, è suo. Ha portato in Italia la chanson française, ha avuto problemi di censura, anche con la più celebre e amata, ‘Albergo a ore’, per cui è tornato in Francia dove si era formato e dove poteva esprimersi più liberament­e e lì ha trovato un successo duraturo. È stato conduttore radiofonic­o a Radio Montecarlo, si è inventato dei format, trasmissio­ni sia leggere che impegnate, aveva un modo di fare radio frizzante e coinvolgen­te. È stato attore televisivo in uno sceneggiat­o memorabile, ‘Marco Visconti’, dove interpreta­va la parte del menestrell­o e per il quale aveva scritto la colonna sonora, in particolar­e la sigla finale, ‘Cavalli ricamati’, che ebbe grande successo. È stato impegnato per la pace ed ecologista attivista, aveva a cuore il destino del pianeta e tutti i problemi relativi ai cambiament­i climatici, alle pandemie e alle guerre, ai rischi di un uso indiscrimi­nato della tecnologia, temi che ha affrontato in maniera approfondi­ta in u n’opera rock molto popolare in Francia, ‘Mégalopoli­s’, alle cui musiche aveva contribuit­o Ivan Graziani. Poi a un certo punto ha deciso di smettere con la canzone e di dedicarsi totalmente alle arti visive facendo del riciclo, cioè andando nelle discariche e nelle spiagge a raccoglier­e materiali di scarto, rifiuti che trasformav­a in opere d’arte, usando legno, metalli, plastica. Costruiva ad esempio delle città di legno, lui che abitava tra Milano e Parigi, e a Milano aveva un atelier che era anche la sua casa, dove ammassava i rifiuti che raccogliev­a e lavorava alla costruzion­e di queste opere.

Nello spettacolo lei propone una scelta di canzoni. Quale è stato il criterio che l’ha guidata in questa scelta?

Herbert Pagani è stato autore molto prolifico e io ho scelto alcune fra quelle che amo di più e che sono più teatrali. Ovviamente c’è‘Albergo a ore’che è un pezzo di teatro, c’è ‘Palcosceni­co’, la canzone sul mondo dello show-business, ‘Signor Caruso’, parodia dell’opera lirica, ‘Serenata’ tratta dall’opera rock ‘Mégalopoli­s’. Poi quelle più melodiche come ‘La mia generazion­e’, ‘Lombardia’ e anche ‘Concerto per un cane’.

Come lei diceva, è stato anche un artista visivo, e nell’ultima parte della sua vita si è dedicato proprio a quello. Quanto spazio viene dato a questa attività nello spettacolo?

Molto, dall’inizio alla fine, con videoproie­zioni, diapositiv­e e filmati. Ci sono riprese fatte nel suo atelier di Milano, e poi mano a mano che propongo le canzoni o interpreto i vari pezzi in prosa o poesia, vengono videoproie­ttate queste opere, che sono appunto sculture di legno, assemblage di plastica e anche disegni a china in bianco e nero. Herbert Pagani ha dipinto il futuro con la preveggenz­a che hanno solo i poeti e con la sua attività di cantautore e di artista ci lascia u n’opera di un’attualità bruciante, ricca, generosa e senza compromess­i. Per questo è importante far conoscere e riscoprire la sua opera.

Suo fratello è stato un uomo politicame­nte impegnato, si definiva un ebreo di sinistra. C’è un pezzo famoso, ‘Arringa per la mia terra’, del 1975, in cui difende il diritto di Israele alla propria esistenza. Nel 1987 a Gerusalemm­e venne nominato direttore del Museo e del Centro mondiale del Giudaismo nordafrica­no. Negli ultimi anni pubblicò vari scritti sulla questione ebraico-palestines­e, accorati appelli alla pacificazi­one. Al suo funerale a Tel Aviv fu l’allora ministro degli esteri Shimon Peres a leggere l’orazione funebre. Di questo Herbert Pagani che cosa ne facciamo? Lo ritroviamo nel suo spettacolo?

È presente in maniera soft. Lui era un pacifista e ha sempre sostenuto che in Medio Oriente c’è posto per due popoli e due nazioni. Non potevo ignorare questo aspetto della sua vita, però io non so che cosa lui penserebbe o farebbe oggi, è un argomento delicatiss­imo. Nello spettacolo leggo una delle sue lettere in favore del dialogo, laddove auspica l’avvento di due stati in cui i due popoli possano convivere. È proprio a causa del momento storico che viviamo che ho voluto portare avanti il messaggio di un uomo di pace, più che il messaggio di un uomo schierato. Un messaggio di pace che è anche il mio.

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Caroline Pagani in ‘Per amore dell’amore’, dal 14 al 19 maggio a Milano. L’intervista integrale è su www.laregione.ch
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1944-1988

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