Pronte 40mila tende per evacuare Rafah
Israele si prepara all’attacco. Gli Usa preoccupati: ‘Non ci è stata comunicata nessuna data’. Si lavora per una tregua. Scintille tra Erdogan e Netanyahu
Tel Aviv – Israele non molla su Rafah e prepara l’evacuazione della città più a sud della Striscia in vista dell’operazione militare per cui il premier Benjamin Netanyahu ha annunciato domenica di avere una “data”, senza tuttavia a quanto pare averla comunicata agli americani. “Continuiamo ad avere un dialogo con Israele su un’eventuale operazione a Rafah – ha commentato il segretario di Stato Usa Antony Blinken – e siamo profondamente preoccupati per i civili”. Ma, ha aggiunto, a Washington non è stata comunicata “nessuna data”.
Continua intanto ad allargarsi il solco tra Erdogan e Israele, con il primo che ha annunciato limiti alle esportazioni verso lo Stato ebraico, subito ricambiato. Obiettivo di Israele resta dunque l’operazione a Rafah, preceduta dall’evacuazione dei civili. Una fonte israeliana – citata dall’Associated Press – ha fatto sapere che Israele a questo scopo sta acquistando 40’000 tende dove ospitare gli sfollati, anche se questo appare una goccia nel mare di un milione e mezzo di persone che popolano attualmente la città.
I negoziati e la tregua che non c’è
L’unica possibilità di far slittare l’ingresso dei soldati israeliani a Rafah sarebbe un’intesa su una tregua nei negoziati indiretti in corso al Cairo. Gli Usa stanno spingendo per sei settimane di cessate il fuoco in cambio di 40 ostaggi israeliani, la liberazione di 900 detenuti palestinesi e il rientro al nord di Gaza di una parte degli sfollati. Ma le notizie che arrivano dalla capitale egiziana sia da parte di Hamas sia da parte di Israele non sono incoraggianti: le posizioni sono distanti, soprattutto sulla tregua temporanea e il ritiro dell’Idf da tutta la Striscia come pretende Hamas.
Intanto Emmanuel Macron ha chiesto il cessate il fuoco a Gaza schierandosi – unico europeo – insieme al re di Giordania Abdallah e al presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi. Nell’articolo firmato dai tre leader, e pubblicato fra gli altri da Le Monde e Washington Post, si chiede un cessate il fuoco “immediato” a Gaza e la “liberazione di tutti gli ostaggi” ancora in mano ad Hamas.
Diversi analisti francesi hanno condiviso la definizione dell’iniziativa come un esempio di “diplomazia della disperazione”, un tentativo estremo dopo che le pressioni internazionali non sono riuscite a indurre Israele ad applicare la risoluzione 2728 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede proprio una tregua umanitaria. I tre leader chiedono l’applicazione “immediata e incondizionata” della risoluzione Onu rimasta finora lettera morta. Insieme, mettono poi anche in guardia Israele da un’offensiva a Rafah, iniziativa che potrebbe soltanto “aumentare le perdite umane e le sofferenze, aggravando il rischio e le conseguenze di un esodo forzato massiccio della popolazione di Gaza, provocando la minaccia di un’escalation nella regione”. L’intervento ribadisce poi ancora una volta la convinzione dei firmatari che “la soluzione dei due Stati” è l’unica per avere la meglio su “terrorismo, violenza e guerra” in Medio Oriente.
Proprio la richiesta – ignorata – di un cessate il fuoco immediato da parte di Israele e l’ingresso di aiuti a Gaza sono stati i due punti richiamati dalla Turchia nel giustificare la decisione di imporre limiti alle esportazioni di numerosi beni verso Tel Aviv, compresi prodotti in acciaio, ferro e alluminio. Una mossa alla quale Israele ha risposto decidendo di allargare la lista dei prodotti turchi che non entreranno più nello Stato ebraico. Il ministro degli Esteri Israel Katz ha poi annunciato di voler chiedere “ai Paesi filo-israeliani e alle organizzazioni negli Usa” di “interrompere gli investimenti in Turchia” e imporre “sanzioni” ad Ankara.
Il ruolo di Teheran
Nel frattempo continua a covare sotto le ceneri lo scontro tra Israele e Iran, con Teheran intenzionata a vendicare l’uccisione a Damasco di un generale dei pasdaran. Secondo fonti vicine all’intelligence Usa, l’Iran non attaccherà direttamente ma colpirà attraverso le milizie alleate nella regione. Teheran avrebbe esortato molti dei suoi alleati a lanciare un attacco simultaneo su larga scala contro Israele usando droni e missili, forse già questa settimana. “L’unico modo per combattere i sionisti è formare una coalizione di eserciti islamici”, ha minacciato anche ieri il comandante della Marina delle Guardie rivoluzionarie iraniane, Alireza Tangsiri.
Nel frattempo, a conferma dell’uso che Teheran fa dei propri alleati nell’area, un missile balistico antinave è stato lanciato da una zona dello Yemen controllata dagli Houthi verso il Golfo di Aden, dove una nave della coalizione stava scortando un mercantile.
Lo ha affermato il Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom), specificando che non sono stati segnalati danni o feriti.
La situazione in Libano
Israele, però, non è rimasto a guardare: in questi giorni ha completato la maggiore esercitazione al confine nord con il Libano. E proprio in Libano si alza ulteriormente la temperatura dopo il sequestro e l’uccisione di Pascal Sleiman, membro del partito cristiano Forze Libanesi (Lf) che ha subito bollato la sua morte come “un assassinio e un omicidio politico, fino a prova contraria”.
Stando a quanto riferito dalle autorità libanesi, le forze di sicurezza hanno arrestato “la maggior parte dei membri delle bande siriane coinvolte nel rapimento” e “la persona rapita è stata uccisa mentre cercavano di rubargli l’auto nella zona di Jbeil (nord di Beirut) e il suo corpo è stato trasportato in Siria”. Il caso ha alimentato le tensioni già forti tra il partito Forze Libanesi e l’organizzazione sciita Hezbollah, tanto che il suo leader Hassan Nasrallah, nel discorso tenuto per commemorare un generale iraniano morto nell’attacco israeliano in Siria, ha tenuto a rimarcare la propria estraneità, denunciando “accuse false”.