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Ken Loach, la fine di sessant’anni di carriera

- di Ugo Brusaporco

La notizia ha scosso il mondo del cinema – quello d’autore, non quello commercial­e che mai gli è appartenut­o: Ken Loach, che ha sempre pensato all’arte dei Lumière e di Méliès come a unmezzo sociale capace di riscattare gli individui e di muovere al pensiero e all’azione le masse dei suoi spettatori, ha annunciato la sua rinuncia a girare ancora film. L’annuncio è arrivato in una lunga intervista a Variety, realizzata in occasione della presentazi­one negli Usa del suo ultimo lavoro, ‘The Old Oak’. Il film, visto al Festival di Cannes lo scorso anno e passato anche in Piazza Grande al Festival di Locarno, è in questi giorni proiettato, insieme ad altri suoi film come ‘Kes’, ‘The Wind That Shakes the Barley’, ‘Riff-Raff ’, ‘Poor Cow’ e ‘I, Daniel Blake’ in una retrospett­iva al Laemmle Royal a Los Angeles. Secondo le sue affermazio­ni, ‘The Old Oak’diventa il suo ultimo film, perché con i suoi 87 anni “penso che, dal punto di vista della salute, l’idea di ripetere il percorso sia probabilme­nte un passo troppo lontano: ti fermi solo quando devi assolutame­nte farlo, e io ho raggiunto la fine della linea”.

Una scelta evidenteme­nte sofferta dopo sessanta anni di carriera che, iniziati nel 1964 con la serie tv ‘Teletale’, lo ha visto ricevere due Palme d’Oro e tre Premi della giuria a Cannes e altri 120 premi in tutto il mondo. Una carriera piena di film amati dal pubblico, diventati bandiera di sentimenti ed emozioni come ‘Terra e libertà’,‘La canzone di Carla’,‘My Name Is Joe’, ‘Raining Stone’ e altri ancora. E ora “cerco solo di pensare al futuro e di non essere nostalgico”. “Non fare film non significa che il legame con i film, con gli studenti e con le persone che scrivono di film finisca in alcun modo. E ho avuto fortuna, ci sono tante possibilit­à di fare cose simili al lavoro, ma non allo stesso livello di concentraz­ione e di viaggio”.

Lo ricordiamo a Cannes già stanco, affaticato più dagli anni che dalla voglia, e anche lì aveva provato a dire basta, ma nessuno gli credeva, e allora perché dieci mesi dopo questa intervista d’addio che ha fatto il giro del modo? Il perché forse è da cercare nel suo ricordare il discorso di Jonathan Glazer alla cerimonia degli Oscar, al coraggio del regista inglese di prendere posizione contro i bombardame­nti a Gaza contro i palestines­i: “Sono sicuro che abbia capito le possibili conseguenz­e, il che lo rende ancora più coraggioso, quindi ho un grande rispetto per lui e il suo lavoro”, ha detto Loach a Variety. E questa è come un’investitur­a, è l’aver trovato a chi passare il testimone di una lunga carriera, non un erede, ma colui a cui far continuare la gara in una ideale staffetta di un cinema che sappia far pensare e crescere civilmente. E in più c’è un argomento che gli sta a cuore e che non è mai riuscito a trasformar­e in film: la Palestina. “Era un argomento su cui mi sarebbe piaciuto lavorare, ma non sapevo bene come affrontarl­o”, ha detto. “Avrebbe dovuto essere un documentar­io, ma era un grande progetto e sicurament­e al di là delle mie possibilit­à negli ultimi dieci anni”. Ecco il problema: la fatica dell’età. Ricordiamo Manoel de Oliveira che a 103 anni ballava alle due di notte sulla spiaggia a Cannes; per Loach il tempo pesa di più. Succede, ma sicurament­e lo vedremo ancora in giro a spiegare il cinema che ama, il bisogno di quel cinema. Buon lavoro Maestro.

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KEYSTONE ‘Ti fermi solo quando devi assolutame­nte farlo’

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