Il bello dei “viaggi minimi” di Ghirri
Un millesimo delle sue fotografie in mostra al MASILAC
Troppo comodo andare per celebrità. Anche se la mostra di Alexander Calder al MASI è magnifica, unica, affrettarsi perché Calder Sculpting Time chiude il 6 ottobre. Troppo comodo se si andasse per la tangente di mostre, opere e argomenti già conosciuti. Ma onestamente tra MASI e Collezione Olgiati mi pare proprio che questo non succeda. Calder by Carmen Gimenez docet. Però il museo è, dev’essere anche il luogo della scoperta. Della meraviglia, della proposta, del subbuglio e della tentazione. Di quel qualcosa in più che, senza il supporto di un museo, rischierebbe di andare perso. È il caso adesso di Luigi Ghirri (Scandiano 1943Reggio Emilia 1992) «uno degli artisti fotografici più importanti e influenti in Italia e nel mondo». Garantisce Axel Jablonski, curatore tra Francia, Germania e Austria.
L’attuale al MASILAC di Lugano in 140 fotografie a colori, per lo più degli anni Settanta e Ottanta, si intitola Viaggi e in effetti ruota attorno ad una serie di escursioni, di spostamenti che potremmo definire concentrici rispetto a casa (sempre più leggermente lontano, passando anche per il Ticino) ma è anche, soprattutto un viaggio nella fotografia. Controcorrente rispetto alle tendenze controllate ed anche un po’ severe di quegli anni, dai Settanta ai Novanta, quando va cogliendo temi e soggetti apparentemente ordinari. Per lo più di vacanza, luoghi ed occasioni turistiche, anche le più ordinarie, nelle quali il timbro di fondo consiste nel concedersi al colore. Colori chiari, sorgivi, luminosi, solari, persino giocosi, verrebbe da dire felici, “distillati” come indica il curatore James Lingwood, che da Londra si occupa dell’enorme lascito del fotografo. Centocinquantamila immagini all’interno delle quali ha saputo riunirne un millesimo attorno ad un tema.
Sono scatti naturalmente analogici, ma che in qualche modo precorrono la serialità digitale dei cellulari che verranno, con i quali oggi e sempre più andiamo modificando o addirittura sostituendo lo sguardo. «La realtà in larga misura si va trasformando sempre più in una colossale fotografia e il fotomontaggio è già avvenuto: è nel mondo reale», scriveva Ghirri nel ’79. Ma al tempo stesso quei suoi scatti apparentemente così ordinari di turista non problematico riassumono un mondo che non c’è più, sparito, disintegrato dal galoppare, dall’incombere, dall’esplodere della realtà. Intanto rimane questa bella, avvincente, piacevole, a tratti poetica documentazione con la quale Ghirri, indica il curatore, «non mira a creare una raccolta di momenti memorabili, né a sottolineare la bellezza o l’importanza di un luogo, ma a costruire un quadro riflessivo di una cultura definita e modellata dalle immagini e dalla loro creazione». Però che classe, che capacità (senza esagerare, per carità) di raffigurare un’epoca, un tempo intermedio di cui forse, rivedendolo così, ci assale un po’ di rimpianto.