L’arte fa i conti con la storia
Le due facce della Collezione Bührle al Kunsthaus di Zurigo
Bührle, basta il cognome per aggrottare le ciglia. E porre una serie di domande ancora senza risposta, che stanno sconvolgendo – non è un rischio, è un dato di fatto – la storia dell’arte da più prospettive. Intanto, sul rapporto con la storia tout court. Storia buona, storia cattiva. Sono tutt’uno, si intrecciano tra loro, sono interdipendenti, o ognuna segue autonomamente la propria strada? E poi, all’interno di questo interrogativo di fondo, una serie di domande specifiche. Sulla proprietà delle opere, sui diritti di partenza o acquisiti, sugli intrecci economici e sociali… Sono i temi della cosiddetta “arte trafugata”. Con sullo sfondo il grande, inevitabile tema della Memoria. Della Shoah, dei 6 milioni (6 milioni!) di ebrei uccisi e sappiamo come, degli altri milioni dispersi nelle varie diaspore. Il buco nero della storia.
Arte e armi – Su questo cratere in eruzione balla la grande Collezione d’arte dell’industriale delle armi Emil Georg Bührle (18901956). Formata tra il 1936 e il 1956 è entrata già in partenza a far parte della Zürcher Kunstgesellschaft di cui era uno storico esponente. La ZK è alla base del Kunsthaus, che è un’istituzione privata gestita da un’associazione di 25’000 membri. Tre anni fa una prima esposizione di queste opere aveva suscitato più critiche che consensi. Si esibisce ma non s’interroga, non entra nel merito della questione, si limita a far bella mostra delle opere, non pone domande, non cerca soluzioni... Ora, sotto la guida della nuova direttrice, la belga Ann Demeester, il Kunsthaus riparte con la mostra Un futuro per il passato. La Collezione Bührle: arte, contesto, guerra
e conflitto, aperta tutto il 2024. Nel nuovo allestimento vengono presentate in un contesto storico e dialettico le attività collezionistiche di Bührle e i suoi intrecci economici e sociali, le sue ricadute socialpolitiche.
Passato e futuro – La mostra parte dal concetto che arte e storia sono inestricabilmente legate. Inizia dal passato, termina guardando al futuro. Affianca le due facce della questione con la bellezza di quasi 200 opere, dalla scultura goticorinascimentale all’arte moderna, perfettamente presentate e documentate. Molti i capolavori, opere uniche di grande valore storico
artistico, non solo tra gli Impressionisti. Ha il merito di presentare per la prima volta anche gli eventi, le modalità in cui le opere sono state acquisite e tramandate. Perché «con la collezione Bührle arte e storia non possono essere mai separate. Le opere d’arte sono di per sé innocenti, ma sono la testimonianza di crimini e profonde ingiustizie. Sono diventate oggetti della memoria del terrore del regime nazista».
E poi, terzo importante elemento, cerca il dialogo con il pubblico attraverso una serie di postazioni digitali (pc e schermi in casse in legno come quelle per il trasporto di opere d’arte…) lungo il percorso della mostra. Interessanti le domande al pubblico, eccone alcune. È eticamente giustificabile esporre questa collezione come museo? L’intera collezione è problematica? Come dovrebbero essere presentate le opere? Il Kunsthaus per affrontare la questione da tutte le angolazioni raccoglie anche i pareri dei visitatori, non solo sul passato ma anche sul futuro. In questa prospettiva si chiede e chiede: Che fare delle opere? Venderle e usare il denaro per riparare alle ingiustizie del passato? Chiuderle in un magazzino e non esporle? Mostrarle e nel contempo informare e discutere di argomenti storici controversi o difficili?
Pubblico coinvolto – Quando l’ho visitata, domenica scorsa, le risposte dei visitatori erano già quasi 13.000. Le sale affollate, l’interesse palpitante. Conosceremo l’esito del sondaggio, perché tale è da considerare, durante la mostra così come la relazione finale dello storico Raphael Gross, che sta attualmente ricercando sulla provenienza della Collezione Bührle.
A quel punto questione chiusa? Niente affatto. Intanto le opere della Collezione Bührle sono l’occasione per commemorare le vittime del terrore nazista, evocare i loro destini e riflettere criticamente anche sul ruolo della Svizzera nella Seconda guerra mondiale. Poi è il primo passo di un processo più lungo. Solleva domande, ma può solo fornire inizi di risposte. Di sicuro cambia il mandato di un museo. «Non siamo solo un museo in cui si ammira l’arte, ma anche un luogo nel quale si discutono temi difficili» afferma Ann Demeester, introducendo un nuovo approccio ad una questione difficile, che mira a completare il riconoscimento dell’arte con la sua provenienza talvolta problematica.