«La salute mentale in tempi di crisi sia subito tenuta in considerazione»
/ Il Consiglio federale ha adottato due rapporti incentrati su una migliore e più puntuale gestione di future pandemie L’attenzione si concentra sulle case di cura e per anziani, ma anche sulla «resilienza» della popolazione - John Baldi: «Allora non erav
Che cosa resta della pandemia? Quella che sembra, vista oggi, una crisi ormai lontana, così lontana poi non è. Stiamo parlando di un’ondata partita quasi cinque anni fa, ma trascinatasi - a fasi alterne - sin nel presente. Ogni tanto riaffiora qua e là, tra le notizie, a mo’ di spauracchio. Ma il peggio sembra passato. Quel che resta, per rispondere alla domanda iniziale, sono allora gli insegnamenti. Quali? In questo caso, a rispondere è stato il Consiglio federale, che ieri ha adottato due rapporti incentrati su una migliore gestione di future pandemie e di crisi in questi ambiti. L’obiettivo di questi rapporti è proprio di applicare gli insegnamenti della pandemia nelle case di cura e per anziani, ma anche di rafforzare la salute mentale della popolazione.
Giovani colpiti duramente
Il tutto parte da una semplice constatazione: durante la pandemia da coronavirus, ad aver avuto la priorità su tutto è stata la protezione delle fasce più fragili, o esposte, della popolazione. Questa è la premessa, ma è anche la conclusione. Lo stesso Consiglio federale, nelle sue conclusioni, infatti ricorda: «Il Consiglio federale intende sottolineare che l’obiettivo primario sarà proteggere la popolazione anche in caso di future pandemie nonché in fasi di grande incertezza, in cui mancano conoscenze ed esperienza». Oltre a questo, però, bisognerà tenere conto anche di altri aspetti. Questo è il punto. Anche perché «alcuni gruppi della popolazione sono stati colpiti più duramente a livello di salute psichica rispetto alla popolazione generale, per esempio i giovani, le persone che vivono sole, le persone con difficoltà finanziarie e con malattie psichiche o fisiche preesistenti». Senza considerare come, già prima della pandemia, in Svizzera (ma non solo) sussistevano sfide nell’assistenza alle persone affette da malattie psichiche - carenza di personale specializzato, difficoltà nell’offerta di trattamenti per bambini e adolescenti -, sfide acuite dall’esplosione della crisi. Il Consiglio federale fa una sorta di mea culpa, quando ammette che «nella
gestione di crisi future gli aspetti psicosociali dovranno essere presi in considerazione il più presto possibile». Nel 2020, a caldo, questi aspetti erano scivolati in secondo piano. L’inesperienza, appunto. La mancanza di conoscenze pregresse. Il panico, chissà.
Nel suo rapporto, il Governo raccomanda misure per la gestione di crisi ed eventi, ma non solo, anche per la promozione della salute e la prevenzione, il rilevamento e l’intervento precoce e persino - un aspetto che ritiene centrale l’aiuto a bassa soglia e capillare (leggasi: hotline). Si legge, testuale, che la salute mentale deve essere «tenuta maggiormente in considerazione nella gestione delle crisi». Intervenendo «in modo specifico per ciascun gruppo target, con particolare riguardo per persone che presentano fattori di vulnerabilità». Quel che resta, dopo la lettura del rapporto e
al di là del discorso pandemico, è vedere riconosciuto «un aumento del disagio psichico tra bambini, adolescenti e giovani adulti in Svizzera - le ragazze e le giovani donne sono le più colpite». Un aumento che non trova adeguato riscontro nell’offerta di sostegno e trattamento, in particolare proprio per la sfera di bambini e adolescenti.
La mancanza di contatti
La salute mentale viene toccata anche nel secondo rapporto presentato ieri dal Consiglio federale, quello che si concentra sulla gestione degli anziani, in particolare delle case per anziani. Una delle citazioni che segnarono quel periodo è quella del comandante della Polizia cantonale. Era il 20 marzo del 2020 e Matteo Cocchi consigliò agli Over 65 di «andare in letargo». Al di là di anacronistiche strumentalizzazioni di quella dichiarazione, registrata in tempi particolarmente complessi, la riflessione sui toni e sui tempi, ma soprattutto sulle misure adottate, rimane pertinente. Il Consiglio federale riporta che, secondo gli studi realizzati sul tema, «la maggior parte delle persone anziane ha saputo gestire bene la pandemia». Ma poi sottolinea anche che «non in tutte le fasi della pandemia è stato possibile organizzare le misure di protezione per le persone anziane e i residenti di case di cura e per anziani in maniera proporzionata dal punto di vista della loro libertà individuale e autodeterminazione». Tali misure hanno anche causato sofferenza, in particolare tra le persone in case di cura e per anziani. A incidere negativamente, leggiamo nel rapporto, «è stata soprattutto la mancanza di contatti con i familiari a causa delle rigide norme sulle visite». L’ammissione più interessante riguarda la mancata differenziazione. Si parlava, in effetti, genericamente, di «Over 65». Ora il Governo riflette: «Si è tenuto poco conto del fatto che gli “anziani” non sono un gruppo omogeneo, ma presentano notevoli differenze in termini di stato di salute, esigenze di sostegno, inclusione sociale, risorse psicosociali e situazione socio-economica».
Maggiore consapevolezza
Quattro i suggerimenti. Numero 1: tenere conto del punto di vista delle persone interessate e promuovere l’autodeterminazione. Numero 2: maggiore consapevolezza dell’eterogeneità delle situazioni di assistenza e degli ambienti di vita in età avanzata. Numero 3: migliorare la preparazione alle pandemie nelle case di cura e per anziani nonché nelle strutture abitative destinate a persone con disabilità. Numero 4: investire nella qualità delle cure di lunga durata. Insomma, riflessioni che toccano il settore in profondità. In questo senso, abbiamo chiesto una lettura anche a John Baldi, presidente dell’associazione dei direttori delle case per anziani della Svizzera italiana. Ammette lui stesso: «Abbiamo imparato molto. D’altronde, eravamo passati da una situazione in cui non conoscevamo nulla ai picchi di allora. Poi, certo, con il senno di poi avremmo fatto qualcosa di diverso. Ma non eravamo preparati ad affrontare quella crisi». Sottolinea l’aspetto della «fragilità», emersa con forza, all’improvviso, al punto che colpì tutti, pazienti ma anche collaboratori e parenti. «Oggi c’è una consapevolezza diversa. Le regole oggi non sarebbero le stesse, ma all’epoca dovevano essere prese decisioni a caldo. I piani, nel frattempo, in caso di nuove crisi, sono già cambiati. Ora siamo più consci della rete attorno a noi, delle possibili collaborazioni».
L’obiettivo primario sarà sempre quello di proteggere la popolazione anche in future pandemie Consiglio federale