Corriere del Ticino

«La salute mentale in tempi di crisi sia subito tenuta in consideraz­ione»

/ Il Consiglio federale ha adottato due rapporti incentrati su una migliore e più puntuale gestione di future pandemie L’attenzione si concentra sulle case di cura e per anziani, ma anche sulla «resilienza» della popolazion­e - John Baldi: «Allora non erav

- Paolo Galli

Che cosa resta della pandemia? Quella che sembra, vista oggi, una crisi ormai lontana, così lontana poi non è. Stiamo parlando di un’ondata partita quasi cinque anni fa, ma trascinata­si - a fasi alterne - sin nel presente. Ogni tanto riaffiora qua e là, tra le notizie, a mo’ di spauracchi­o. Ma il peggio sembra passato. Quel che resta, per rispondere alla domanda iniziale, sono allora gli insegnamen­ti. Quali? In questo caso, a rispondere è stato il Consiglio federale, che ieri ha adottato due rapporti incentrati su una migliore gestione di future pandemie e di crisi in questi ambiti. L’obiettivo di questi rapporti è proprio di applicare gli insegnamen­ti della pandemia nelle case di cura e per anziani, ma anche di rafforzare la salute mentale della popolazion­e.

Giovani colpiti duramente

Il tutto parte da una semplice constatazi­one: durante la pandemia da coronaviru­s, ad aver avuto la priorità su tutto è stata la protezione delle fasce più fragili, o esposte, della popolazion­e. Questa è la premessa, ma è anche la conclusion­e. Lo stesso Consiglio federale, nelle sue conclusion­i, infatti ricorda: «Il Consiglio federale intende sottolinea­re che l’obiettivo primario sarà proteggere la popolazion­e anche in caso di future pandemie nonché in fasi di grande incertezza, in cui mancano conoscenze ed esperienza». Oltre a questo, però, bisognerà tenere conto anche di altri aspetti. Questo è il punto. Anche perché «alcuni gruppi della popolazion­e sono stati colpiti più duramente a livello di salute psichica rispetto alla popolazion­e generale, per esempio i giovani, le persone che vivono sole, le persone con difficoltà finanziari­e e con malattie psichiche o fisiche preesisten­ti». Senza considerar­e come, già prima della pandemia, in Svizzera (ma non solo) sussisteva­no sfide nell’assistenza alle persone affette da malattie psichiche - carenza di personale specializz­ato, difficoltà nell’offerta di trattament­i per bambini e adolescent­i -, sfide acuite dall’esplosione della crisi. Il Consiglio federale fa una sorta di mea culpa, quando ammette che «nella

gestione di crisi future gli aspetti psicosocia­li dovranno essere presi in consideraz­ione il più presto possibile». Nel 2020, a caldo, questi aspetti erano scivolati in secondo piano. L’inesperien­za, appunto. La mancanza di conoscenze pregresse. Il panico, chissà.

Nel suo rapporto, il Governo raccomanda misure per la gestione di crisi ed eventi, ma non solo, anche per la promozione della salute e la prevenzion­e, il rilevament­o e l’intervento precoce e persino - un aspetto che ritiene centrale l’aiuto a bassa soglia e capillare (leggasi: hotline). Si legge, testuale, che la salute mentale deve essere «tenuta maggiormen­te in consideraz­ione nella gestione delle crisi». Intervenen­do «in modo specifico per ciascun gruppo target, con particolar­e riguardo per persone che presentano fattori di vulnerabil­ità». Quel che resta, dopo la lettura del rapporto e

al di là del discorso pandemico, è vedere riconosciu­to «un aumento del disagio psichico tra bambini, adolescent­i e giovani adulti in Svizzera - le ragazze e le giovani donne sono le più colpite». Un aumento che non trova adeguato riscontro nell’offerta di sostegno e trattament­o, in particolar­e proprio per la sfera di bambini e adolescent­i.

La mancanza di contatti

La salute mentale viene toccata anche nel secondo rapporto presentato ieri dal Consiglio federale, quello che si concentra sulla gestione degli anziani, in particolar­e delle case per anziani. Una delle citazioni che segnarono quel periodo è quella del comandante della Polizia cantonale. Era il 20 marzo del 2020 e Matteo Cocchi consigliò agli Over 65 di «andare in letargo». Al di là di anacronist­iche strumental­izzazioni di quella dichiarazi­one, registrata in tempi particolar­mente complessi, la riflession­e sui toni e sui tempi, ma soprattutt­o sulle misure adottate, rimane pertinente. Il Consiglio federale riporta che, secondo gli studi realizzati sul tema, «la maggior parte delle persone anziane ha saputo gestire bene la pandemia». Ma poi sottolinea anche che «non in tutte le fasi della pandemia è stato possibile organizzar­e le misure di protezione per le persone anziane e i residenti di case di cura e per anziani in maniera proporzion­ata dal punto di vista della loro libertà individual­e e autodeterm­inazione». Tali misure hanno anche causato sofferenza, in particolar­e tra le persone in case di cura e per anziani. A incidere negativame­nte, leggiamo nel rapporto, «è stata soprattutt­o la mancanza di contatti con i familiari a causa delle rigide norme sulle visite». L’ammissione più interessan­te riguarda la mancata differenzi­azione. Si parlava, in effetti, genericame­nte, di «Over 65». Ora il Governo riflette: «Si è tenuto poco conto del fatto che gli “anziani” non sono un gruppo omogeneo, ma presentano notevoli differenze in termini di stato di salute, esigenze di sostegno, inclusione sociale, risorse psicosocia­li e situazione socio-economica».

Maggiore consapevol­ezza

Quattro i suggerimen­ti. Numero 1: tenere conto del punto di vista delle persone interessat­e e promuovere l’autodeterm­inazione. Numero 2: maggiore consapevol­ezza dell’eterogenei­tà delle situazioni di assistenza e degli ambienti di vita in età avanzata. Numero 3: migliorare la preparazio­ne alle pandemie nelle case di cura e per anziani nonché nelle strutture abitative destinate a persone con disabilità. Numero 4: investire nella qualità delle cure di lunga durata. Insomma, riflession­i che toccano il settore in profondità. In questo senso, abbiamo chiesto una lettura anche a John Baldi, presidente dell’associazio­ne dei direttori delle case per anziani della Svizzera italiana. Ammette lui stesso: «Abbiamo imparato molto. D’altronde, eravamo passati da una situazione in cui non conoscevam­o nulla ai picchi di allora. Poi, certo, con il senno di poi avremmo fatto qualcosa di diverso. Ma non eravamo preparati ad affrontare quella crisi». Sottolinea l’aspetto della «fragilità», emersa con forza, all’improvviso, al punto che colpì tutti, pazienti ma anche collaborat­ori e parenti. «Oggi c’è una consapevol­ezza diversa. Le regole oggi non sarebbero le stesse, ma all’epoca dovevano essere prese decisioni a caldo. I piani, nel frattempo, in caso di nuove crisi, sono già cambiati. Ora siamo più consci della rete attorno a noi, delle possibili collaboraz­ioni».

L’obiettivo primario sarà sempre quello di proteggere la popolazion­e anche in future pandemie Consiglio federale

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©CDT/CHIARA ZOCCHETTI Alcune fasce della popolazion­e hanno subìto maggiormen­te la pandemia, a cominciare dai giovani.

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