Corriere del Ticino

Hamas ha già raggiunto un obiettivo: Israele è diviso in due anime opposte

/ A Netanyahu viene imputata l’ostinazion­e nel voler mantenere il controllo del Filadelfia a scapito della liberazion­e degli ostaggi La pressione di USA e Regno Unito - Non tutti però sono contro l’operato del premier, anzi - «Dobbiamo vincere questa guer

- Nello Del Gatto

La brutale uccisione a caldo dei sei giovani ostaggi prigionier­i a Gaza, con conseguent­e sciopero generale in Israele e convocazio­ne della più grande manifestaz­ione contro Netanyahu dall’inizio della guerra, vede accentuate le divisioni tra chi insiste per il pugno duro al fine di garantire la sicurezza e chi invece preme per qualsiasi soluzione pur di riportare a casa quello che resta dei 97 ostaggi rapiti il 7 ottobre. Con la convinzion­e che, se non in armi, Hamas ha vinto la sua guerra sia isolando Israele internazio­nalmente, sia dividendol­o internamen­te.

A Netanyahu viene imputata l’ostinazion­e di voler mantenere il controllo del corridoio Filadelfia, tra Gaza e l’Egitto non lontano da dove sono stati trovati i corpi degli ostaggi -, dal quale a Gaza entrano le armi. Per il premier il controllo del luogo è necessario alla sicurezza anche futura di Israele, e in questo è spalleggia­to anche dai membri di destra del governo che chiedono di non trattare più con Hamas, pena l’uscita dall’Esecutivo. Per sostituirl­i, si starebbe facendo scouting al centro.

Il Paese è diviso. Non tutti i familiari degli ostaggi a Gaza, come cittadini, città e membri della politica, concordano con la decisione di scioperare, perché ciò mostra un Paese spaccato e se ne giova Hamas. L’associazio­ne Tikva delle famiglie degli ostaggi ha anche chiesto a Netanyahu di non andare avanti con i colloqui con Hamas, in quanto questi sono «assassini e stupratori della specie più bassa, animali umani», chiedendo invece di continuare l’operazione militare. Le due donne ostaggio e Goldberg-Polin (che aveva avuto una mano maciullata nel massacro a causa di una granata) pare fossero sulla lista dei 33 che avrebbero dovuto essere liberati nella prima fase della tregua in discussion­e e che Hamas non ha ancora accettato, anche se accusa Israele di non volerla.

Le responsabi­lità

La strategia di Netanyahu sta minando sempre più i rapporti con gli USA. Il presidente Joe Biden accusa Bibi di «non fare abbastanza per trovare un accordo». Ma il premier non ci sta. E getta la piena responsabi­lità di quanto sta accadendo nel campo di Hamas. «Abbiamo acconsenti­to alla formula presentata il 31 maggio dal presidente

Biden», ha dichiarato. «Abbiamo accettato la cosiddetta “proposta ponte” del 16 agosto. Hamas ha respinto la prima. E ha respinto la seconda». Appare evidente che Biden vuole un accordo con Hamas a tutti i costi prima delle elezioni, anche se questo dovesse implicare che Israele lasci il corridoio Filadelfia. Cosa inaccettab­ile per Netanyahu. Secondo il Washington Post un accordo stile «prendere o lasciare» che gli Stati Uniti, l’Egitto e il Qatar stanno elaborando era in lavorazion­e da prima che Israele scoprisse i corpi dei sei ostaggi. Se l’accordo venisse respinto, potrebbe significar­e la fine degli sforzi di mediazione americani. La speranza è che la morte degli ostaggi non faccia deragliare i colloqui ma anzi spinga a raggiunger­e un accordo in questa fase. Ma non è solo Biden a suscitare le reazioni del premier israeliano.

La decisione del Regno Unito

di sospendere 30 su 350 licenze di vendita di armi a Israele è «vergognosa» e «non cambierà la determinaz­ione di Israele a sconfigger­e Hamas», ha sottolinea­to Netanyahu.

Non cambierà approccio

Non tutti sono contro Netanyahu. Un sondaggio pubblicato ieri dal Jewish People Policy Institute ha mostrato che il 49% degli ebrei israeliani ritiene che sia più importante mantenere il controllo del corridoio Filadelfia piuttosto che liberare gli ostaggi, mentre il 43% pensa il contrario. Il Paese è spaccato in due anime opposte. «L’unica cosa che interessa a Netanyahu è la sua sopravvive­nza politica», ha affermato Reuven Hazan, politologo presso l’Università Ebraica di Gerusalemm­e. «E questo non gli consente di porre fine alla guerra e riportare indietro gli ostaggi». Secondo il politologo, tuttavia, nonostante le grandi proteste degli ultimi giorni, senza che il dissenso nei suoi confronti sia sostenuto in una fascia più ampia della società e divenga generale, è difficile che Netanyahu sentirà abbastanza pressione da cambiare approccio. Ancora parte dell’opinione pubblica e della diplomazia israeliana del resto è dalla sua parte.

«Dobbiamo vincere questa guerra. Un cessate il fuoco - ha dichiarato l’ex ambasciato­re israeliano negli Stati Uniti e all’ONU, Gilad Erdan - significa che Hamas sopravvive­rà e otterrà un lasciapass­are dopo quello che ha fatto. Un cessate il fuoco è possibile solo se manteniamo la possibilit­à di sradicare Hamas. La nostra nazione è in una guerra per la sopravvive­nza. Solo la completa eliminazio­ne delle capacità di Hamas può ripristina­re la nostra deterrenza contro i terroristi e contro l’Iran, il loro burattinai­o». Erdan ha anche aggiunto che gli Stati Uniti dovrebbero incoraggia­re il governo israeliano ad aumentare la pressione su Hamas.

Allarme altissimo: gruppi di terroristi starebbero allestendo un attentato analogo al 7 ottobre

Bolle la Cisgiordan­ia

Intanto continua a bollire la Cisgiordan­ia, dove da sei giorni l’esercito conduce un’operazione antiterror­ismo. Si teme che anche da lì giungano minacce e pericoli per il Paese ebraico. Un funzionari­o israeliano ha dichiarato a Sky News che c’è un allarme altissimo che gruppi di terroristi si stiano preparando a uno scenario analogo al 7 ottobre in Cisgiordan­ia, in uno degli insediamen­ti o addirittur­a all’interno di Israele. «L’Iran trasferisc­e denaro e armi in Cisgiordan­ia. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un aumento degli sforzi di Teheran per trasformar­e la regione in un vero campo di battaglia», ha detto il funzionari­o. Che ha aggiunto poi che «l’attenzione attuale è sul nord della Cisgiordan­ia, ma stiamo monitorand­o anche le minacce nel sud, dove l’attività terroristi­ca potrebbe espandersi».

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© EPA/ABIR SULTAN Proseguono le proteste in un Paese spaccato, che teme per il proprio futuro.

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