Corriere del Ticino

Sugli ostaggi Hamas ha cambiato strategia

- Giacomo Butti

per protestare contro Benjamin Netanyahu e il mancato accordo per la liberazion­e degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, nella Striscia di Gaza. Centinaia di migliaia di persone numeri mai raggiunti, dal 7 ottobre a oggi, nelle pur frequenti contestazi­oni - hanno manifestat­o il proprio sdegno per il ritrovamen­to, sabato scorso, dei corpi di sei ostaggi israeliani nei tunnel dell’enclave. Una perdita, è questo il sentimento generale, che si sarebbe potuta evitare se il governo avesse spinto con più convinzion­e verso un cessate il fuoco. I sei, del resto, erano vivi fino a poche ore prima il rinvenimen­to. Le autopsie condotte in Israele collocano il momento della loro uccisione fra giovedì e venerdì. La loro «esecuzione» (questo il termine usato dalle autorità israeliane) sarebbe quindi avvenuta mentre i soldati delle Forze di difesa israeliane (IDF) si trovavano vicini. E non per caso, ma con il chiaro obiettivo di salvarli, così ha fatto intendere Netanyahu in conferenza stampa: «C’eravamo quasi, ma non ci siamo riusciti».

Che il ritrovamen­to di questi corpi sia avvenuto in modo casuale o davvero nel mezzo di un’operazione di soccorso non è questione secondaria, ma snodo (potenzialm­ente) cruciale del conflitto. Il fatto che le IDF siano riuscite, negli scorsi mesi, a portare a termine missioni di salvataggi­o costate la vita di centinaia di civili palestines­i lascia presupporr­e che Hamas avesse sin qui un forte interesse nel mantenere in vita, fino all’ultimo, gli ostaggi. Tanto che tre settimane fa un portavoce dell’ala militare aveva annunciato l’apertura di un’indagine che facesse luce sull’uccisione di un prigionier­o israeliano e il ferimento di altri due per mano di una guardia islamista. Come fatto osservare da diversi analisti, il caso in discussion­e - l’immediata uccisione di un nutrito gruppo di ostaggi israeliani per evitarne il recupero - rappresent­erebbe quindi un cambio di strategia da parte di Hamas. Un gioco pericoloso per l’organizzaz­ione stessa, che perderebbe, a poco a poco, potere negoziale. Ma anche una escalation che potrebbe avere un forte impatto sulla guerra e, come dimostrato in questi giorni di forte proteste, sulla percezione che la popolazion­e israeliana ha di essa. «Che senso ha combattere se nessun ostaggio ne uscirà vivo?». Sembra questo il dubbio che

Hamas è intenziona­to a instillare nella società israeliana. E una conferma, in tal senso, viene dal messaggio diffuso dall’organizzaz­ione all’indomani della scoperta israeliana nei tunnel della Striscia: «Accordo di scambio: libertà e vita. Pressione militare: morte e fallimento». Abbandonat­o dai suoi stessi funzionari e bacchettat­o anche dal Regno Unito, che lunedì ha annunciato - una prima - la sospension­e parziale dell’invio di armi a Israele, Netanyahu sembra ormai obbligato alla scelta: lasciare o raddoppiar­e? Solo e claudicant­e, il premier è da tempo costretto ad appoggiars­i completame­nte alla stampella ultranazio­nalista in governo, la stessa che spinge per una presenza permanente a Gaza e per un controllo esteso della Cisgiordan­ia. Non a caso, fra i punti che nelle scorse settimane hanno ingolfato la macchina negoziale v’era proprio la questione del mantenimen­to di truppe israeliane lungo il corridoio di Filadelfia (fra Egitto e Striscia), sul quale ha insistito Netanyahu. Rimane da vedere, con il terremoto casalingo e le prime vere crepe internazio­nali comparse a Londra, quanto a lungo durerà un sostegno totale alla guerra.

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