Coltellate al compagno: condannata a curarsi
/ Dovrà seguire un percorso in una struttura specializzata la ventisettenne in carcere per aver ferito un uomo al culmine di una lite – Una storia segnata dalla droga e da disturbi mentali – La giovane ha detto di voler risolvere i suoi problemi e cambiar
Una relazione iniziata con il sangue e finita nel sangue. Lo stesso, per di più. Una relazione ripercorsa ieri a Palazzo di giustizia, dove una ventisettenne è stata condannata a tre anni di carcere e all’obbligo di seguire un trattamento stazionario per aver accoltellato l’allora suo compagno lo scorso ottobre a Lugano.
Dicevamo del sangue. «Ci eravamo conosciuti sui social – ha raccontato la ragazza – e il nostro primo incontro è stato casuale. Io non l’avevo riconosciuto, lui invece sì, e mi aveva salutato. Il suo volto era insanguinato: aveva appena preso un pugno e c’era anche la polizia. Poi mi aveva scritto un messaggio: voleva che andassi a casa sua per assumere stupefacenti...».
La droga: una problematica costante nella relazione fra i due protagonisti di questa storia, fino alla sua violenta conclusione. Un mattino d’autunno, dopo aver passato la notte a consumare non meglio precisate sostanze insieme ad altre persone, fra la ventisettenne e il suo partner comincia a salire la tensione.
I motivi sono futili, ma la richiesta della ragazza è chiara: esser lasciata da sola nel suo appartamento, perché si sente infastidita. In un primo momento il compagno esce, ma poi ritorna, e la discussione cresce d’intensità. Urla, spinte, oggetti lanciati. Gli altri presenti provano a calmare gli animi, ma non c’è modo, così a un certo punto se ne vanno e i due restano soli. La situazione precipita definitivamente nell’atrio davanti alla porta di casa, dove la donna, durante una colluttazione, ferisce l’uomo più volte con un coltello da cucina con lama seghettata da undici centimetri, procurandogli diverse ferite tra cui un taglio di sei centimetri al collo. Per fortuna di entrambi, le lesioni non sono gravi. Però avrebbero potuto esserlo. Per questo il procuratore pubblico Pablo Fäh aveva accusato la donna di tentato omicidio intenzionale.
«Anche se quei colpi sono stati dati a casaccio, non possiamo ignorare la loro pericolosità: l’imputata ha preso in considerazione la possibilità di uccidere il partner». Tenendo conto della sua dipendenza dalla cocaina e dei problemi psichici causati da un disturbo della personalità, Fäh aveva chiesto per la ventisettenne una pena di quattro anni e tre mesi, oltre alla già citata misura terapeutica stazionaria.
«È un fatto che non avrebbe mai dovuto accadere – ha esordito la sua legale, l’avvocato Demetra Giovanettina – ma che ha messo in luce la profonda fragilità umana dell'imputata: ed è questo il tema più delicato del processo».
Un processo che «può essere la scossa violenta che permetterà alla mia assistita di lasciarsi alle spalle anni di problemi e disagi». Prima di chiedere un ridimensionamento delle ipotesi accusatorie e una pena massima di tre anni, Giovanettina aveva sottolineato come la sua assistita – che in aula si è detta desiderosa di curarsi e di cominciare una nuova vita – avesse agito «solo a scopo difensivo» di fronte a «un comportamento provocatorio e minaccioso da parte della vittima» che voleva restare nella casa della compagna.
La giudice Francesca Verda Chiocchetti, affiancata dalle giudici a latere Monica Sartori-Lombardi e Chiara Ferroni, ha osservato come «colpire una vittima in una situazione concitata come quella» potesse «cagionare la morte, e chi lo fa se ne accolla il rischio».
«Non lo vuole – ha aggiunto la presidente della Corte – ma sa che può succedere. E agisce. Si può quindi dire che l’imputata abbia commesso il reato di tentato omicidio per dolo eventuale». Da qui i trentasei mesi di carcere, ma prima la donna verrà collocata in una struttura specializzata per il già citato trattamento stazionario (da capire quando e a quali condizioni potrà tornare in libertà).
«Mi raccomando...» ha detto la giudice alla ventisettenne mentre usciva dall’aula penale per essere ricondotta in cella. «Può farcela».
Colpendo l’uomo in una situazione concitata come quella, si è assunta il rischio che lui potesse morire Francesca Verda Chiocchetti giudice