Ursula trova un tranquillo bis Decisivi i voti degli ecologisti
/ La presidente uscente della Commissione rieletta con una maggioranza più ampia di quella che l’aveva sostenuta 5 anni fa - Determinante per il risultato finale la scelta dei Verdi - Viola Amherd in un tweet rilancia il dialogo e la collaborazione con la
La Commissione europea riparte da dove si era fermata. Ursula von der Leyen è stata rieletta ieri pomeriggio alla presidenza dell’Esecutivo dell’UE per altri cinque anni con 401 voti a favore, 284 contrari e 15 astenuti (7 i voti dispersi).
Gli eurodeputati che hanno espresso la loro preferenza sono stati 707 (su un totale di 720). La maggioranza a sostegno della von der Leyen si è allargata, alla fine, anche ai 53 parlamentari verdi, convinti dal discorso programmatico in cui la presidente della Commissione ha ribadito di voler proseguire nella direzione di marcia del Green Deal.
Contro von der Leyen si sono schierati i “Patrioti” di Viktor Orbán e Jordan Bardella, la gran parte dei conservatori e riformisti (il gruppo che fa riferimento alla premier italiana Giorgia Meloni e all’ex primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ) e la sinistra.
Dopo aver presieduto il Governo dell’Unione durante due grandi crisi - la pandemia di Covid e l’invasione russa dell’Ucraina - l’ex ministro tedesco della Difesa si è guadagnata il rispetto della quasi totalità dei Capi di Stato e di Governo dei 27 soprattutto per il convinto sostegno a Kiev.
Priva, di fatto, di concorrenti, von der Leyen era l’unica candidata che potesse tenere insieme le tre grandi famiglie storiche della politica democratica europea: i democristiani del PPE, i socialisti e i liberali. Così è stato. Anche se, per raggiungere la certezza della conferma, la presidente della Commissione ha aperto agli ecologisti, rifiutando nel contempo ogni corteggiamento dello schieramento a destra dell’emiciclo di Strasburgo.
Pragmatica, sistematica, determinata, Ursula von der Leyen ha superato brillantemente il primo ostacolo, la rielezione. Ma dovrà adesso affrontare una barriera politicamente molto più complicata: un Consiglio europeo in cui siedono i rappresentanti di 8 Governi (su 27) formati o sostenuti dall’estrema destra. E collaborare con un Parlamento che, dopo le elezioni del 9 giugno, si è comunque spostato un po’ più a destra. Un Parlamento nel quale sono presenti almeno due gruppi vicini al presidente russo Vladimir Putin e intenzionati a frenare, quando non a fermare, il progetto europeo.
Una sfida affatto semplice. Che costringerà la presidente della Commissione a trovare di continuo nuovi equilibri. Una cosa, tuttavia, appare chiara: la consapevolezza della von der Leyen sull’importanza, numerica e politica, del sostegno ottenuto dai Verdi. Lo dimostra quanto dichiarato subito dopo la rielezione: «Lavorerò il più possibile con coloro che mi hanno sostenuto, che sono proUE, pro-Ucraina, pro-Stato di diritto. Sono molto grata alla piattaforma popolari, socialisti e liberali, ma sono anche molto grata al gruppo dei Verdi. Abbiamo avuto scambi approfonditi su tutti i temi ed è un buon segno che alla fine abbiano votato sì».
Il rapporto con la Svizzera
Da Berna sono giunte ieri alla riconfermata presidente della Commissione europea gli auguri di buon lavoro. La presidente della Confederazione Viola Amherd, in un tweet, ha scritto: «Congratulazioni a @vonderleyen per la sua rielezione. Non vedo l’ora di continuare la nostra cooperazione. Per Svizzera e UE si tratta di sta
bilizzare le strette e diverse relazioni bilaterali e di renderle sostenibili».
Sul fronte parlamentare, i commenti al voto di Strasburgo sono ovviamente di segno diverso. Secondo Marco Chiesa, consigliere agli Stati e già presidente nazionale UDC, «siamo di fronte a una decisione gattopardesca: qualcuno pensava che si potesse cambiare tutto ma, alla fine, nulla è mutato». Von der Leyen, dice Chiesa al CdT, «deve dire grazie ai Verdi per la rielezione. E, peraltro, mi sembra che lo abbia già fatto. Le prime uscite sono chiare, indicano chi, in prospettiva, peserà di più sulle scelte europee di politica industriale. Lo stesso obiettivo del 90% di azzeramento delle emissioni entro il 2040 è un segnale chiarissimo».
A detta di Chiesa, comunque, il vero snodo della politica internazionale sarà l’esito delle presidenziali USA, a novembre. «L’Europa è tuttora al traino degli americani, soprattutto per quanto riguarda la difesa. Con Trump alla Casa Bianca molte cose potrebbero cambiare». Per ciò che concerne i rapporti tra Svizzera e Unione, Chiesa si augura «che il dialogo rimanga aperto», mentre il timore è che, «su alcune decisioni, l’Europa vorrà forzare la mano anche a noi e limitare la nostra indipendenza e autodeterminazione. Spero che l’impronta ecologista, ad esempio, non diventi pressione politica, soprattutto visto che siamo nel mezzo di una svolta energetica».
Anche il consigliere nazionale PLR Alex Farinelli pensa che la conferma di von der Leyen eviterà scossoni nei rapporti tra Europa e Confederazione. «Quando si sta facendo una trattativa, avere un interlocutore stabile aiuta - dice Farinelli al CdT - tuttavia, il giudizio sull’accordo verrà dato con il testo definitivo. Le questioni sono state preparate nel corso di un lungo percorso di avvicinamento tecnico, alcuni nodi non dipendono da von der Leyen e, d’altronde, in Europa la Commissione condivide i propri poteri con il Consiglio e, quindi, con i Governi dei singoli Stati».
L’analisi del discorso pronunciato ieri a Strasburgo porta Farinelli a pensare che «gli indirizzi del passato siano stati comunque confermati. Non vedo sorprese che debbano portare riflessioni particolari. C’è una linea di continuità, e anche taluni accenti vanno collegati al contesto della rielezione, quando ciascuno tenta di parlare al proprio “elettorato” anche per cementare le file».