Macron e la campagna lampo Una strategia contro «gli estremi»
/ In vista delle elezioni anticipate, il presidente francese mobilita le forze centriste per fermare la sinistra e, soprattutto, l’estrema destra - I sondaggi vedono infatti in avanti il Rassemblement National (RN) seguito dal Nuovo fronte popolare (NFP)
Il volto tirato del premier Gabriel Attal, lo sguardo fisso del ministro dell’Interno Gérald Darmanin e l’aria dubbiosa della presidente dell’Assemblea nazionale, Yaël Braun-Pivet, con Emmanuel Macron ripreso di spalle che gli comunica la sua decisione. È il perfetto riassunto della serata del 9 giugno, immortalata in uno scatto in bianco e nero della fotografa ufficiale dell’Eliseo, Soazig de la Moissonière, pubblicato su Instagram senza nessun commento poche ore dopo l’annuncio dello scioglimento dell’Assemblea nazionale e le conseguenti elezioni anticipate. La notizia-bomba è stata poi sganciata a sorpresa con un discorso alla nazione trasmesso nemmeno un’ora dopo le prime proiezioni delle europee, dominate da Jordan Bardella, il delfino della storica rivale Marine Le Pen arrivato in testa con il 31,37%. L’effetto è quello di una deflagrazione che fa tremare tutta la politica d’oltralpe. Il primo scossone è arrivato nella maggioranza, messa dinnanzi al fatto compiuto dopo un pomeriggio di consultazione con una ristretta cerchia di fedelissimi consiglieri. Il secondo, invece, ha stravolto l’intero scenario politico francese, spiazzato dalla decisione improvvisa dell’inquilino dell’Eliseo. «Si è trattato di un atto di fiducia nei confronti della democrazia», ha spiegato qualche giorno dopo il capo dello Stato in un’attesa conferenza stampa, sostenendo che quella presa era la sola «decisione repubblicana» possibile.
Rischi calcolati?
Ma facendo tornare i francesi alle urne il 30 giugno e il 7 luglio, Macron rischia molto. Il pericolo più grande, per il presidente, è quello di vedere un
nuovo successo del Rassemblement National guidato dal giovane Jordan Bardella, che potrebbe bissare il trionfo delle europee.
La minaccia di Bardella
Uno scenario già anticipato dai sondaggi, che in caso di conferma porterebbe con molta probabilità ad un governo di coabitazione, il quarto nella storia della Quinta Repubblica, con Macron costretto a nominare primo ministro proprio il delfino della rivale Marine Le Pen (anche se quest’ultimo ha annunciato che accetterà l’incarico solo in caso id maggioranza assoluta). Secondo la Costituzione, il capo dello Stato non è obbligato a scegliere un premier proveniente dal partito che arriva in testa ma evitarlo significherebbe gettare il Paese in una impasse istituzionale. Tanto vale testare le capacità degli avversari, mettendoli alla prova una
volta per tutte nella speranza di frenare la loro avanzata. Tanto più che le principali riforme sono già state portate a termine e nel 2027 non sarà possibile presentare una terza candidatura alle presidenziali.
Evitare di finire schiacciati
Intanto, l’inquilino dell’Eliseo ha lanciato i suoi nella campagna-lampo che separa le europee dalle legislative, tra delusioni e malumori interni. Molti rimproverano al loro leader di aver preso una decisione in modo affrettato, senza consultarsi con i principali del governo, con il rischio di spianare la strada verso il potere all’estrema destra. Per evitare di saturare lo spazio mediatico, è stato mandato in prima linea il premier Gabriel Attal. La strategia consiste nell’allargare il più possibile il campo centrista accogliendo i moderati di destra e di sinistra nella coalizione ribattezzata Insieme per la Repubblica. I nemici sono agli «estremi», dove i macroniani colpiscono più duramente per evitare di finire schiacciati come annunciano i sondaggi.
Staccato il blocco macronista
L’ultimo, condotto dall’Ifop per Le Figaro, dà la il blocco centrale dei macronisti al 22%, lontano dalla sinistra riunitasi nel Nuovo fronte popolare (NFP), al 29% e al Rassemblement National, al 34%. Nel mirino c’è soprattutto la gauche, nei confronti della quale i centristi stanno concentrando gli attacchi sfruttando i punti deboli del suo programma, come alcune promesse economiche difficilmente realizzabili e l’atteggiamento delle frange più estreme nei confronti della guerra tra Israele e Hamas. Contro la sinistra Macron non si risparmia e, in alcuni casi, assume toni simili a quelli dei lepenisti. Come quando ha criticato la proposta del Nfp di consentire la modifica dello stato civile per le persone transessuali direttamente in Comune senza passare per il tribunale, definendo «assurdo» poter «cambiare sesso» in Municipio. Una volta messa da parte la sinistra, il presidente potrà concentrarsi sul Rassemblement National. La stessa tattica già vista nelle presidenziali del 2017 e del 2022, quando il «barrage» contro Marine Le Pen ha resistito nonostante gli scricchiolii. Questa volta, però, lo sbarramento appare più debole. Ancora una volta, la maggioranza ha dimostrato tutti i suoi problemi strutturali, tipici di una realtà costruita ad hoc sulla figura del suo leader. La coalizione non ha presentato candidati in 65 circoscrizioni su 577 perché, come candidamente ammesso, preferisce «tendere la mano» ai partiti che si mostreranno collaborativi. Macron guarda soprattutto ai Repubblicani che rifiutano il progetto di alleanza con il Rassemblement National preparato dal contestato leader Eric Ciotti e ai socialisti che non ne vogliono sapere di dialogare con La France Insoumise o il Nuovo Partito anticapitalista. Al momento, però. Il presidente è riuscito solamente a stravolgere il panorama politico d’oltralpe, con il rischio di vedere il tanto famoso «sbarramento repubblicano» ergersi contro di lui.
Facendo tornare i francesi alle urne Macron rischia molto: i sondaggi vedono il RN ancora in testa