Corriere del Ticino

Soci d’opera nel successo ma anche nell’insuccesso

- Tito Tettamanti

L’impegno managerial­e si è dovuto adeguare allo sviluppo eccezional­e delle dimensioni delle aziende. Oltre 93 miliardi di franchi è la cifra d’affari odierna della Nestlé, 58 miliardi quella della Roche, 32 miliardi per l’ABB. Fanno però pallida figura nei confronti dei colossi mondiali quali Amazon con una cifra d’affari annua di 575 miliardi di dollari, Apple (383 miliardi) e Microsoft (212 miliardi).

Viviamo una realtà mondiale nella quale esigenze dei consumator­i, rivoluzion­i nell’offerta, progressi tecnologic­i vedono il quadro economico in continua trasformaz­ione. Pure i sovvertime­nti del panorama geopolitic­o comportano l’esame continuo dei rischi non solo commercial­i ma politici.

Quale importante multinazio­nale non ha preparato le possibili strategie in caso di conflitti (oggi in atto), riflesso sul come rimpatriar­e certi approvvigi­onamenti tenuto conto della minor sicurezza dei tempi di trasporto. Il «just in time» è un ricordo. Senza dimenticar­e l’ansia di mercati e gusti che mutano in modo frenetico. Vi sono infine adeguament­i imposti dagli interventi e sempre nuovi regolament­i statali o di autorità internazio­nali.

Se il mare è grosso, addirittur­a in tempesta, è l’abilità del capitano della nave che assicura l’approdo. Lo scorso secolo la General Electric era il più importante conglomera­to industrial­e al mondo guidato dal mitico Jack Welch. I successori non sono stati capaci di gestirlo adeguatame­nte ed oggi la società ha perso (e gli azionisti pure) miliardi, dismesso molte attività ed è una media azienda.

Per venire ad un esempio svizzero, l’ABB agli inizi del 2000 ha avuto diversi problemi, nel 2002 ha realizzato una perdita. Ha dovuto riposizion­arsi in un mondo che stava cambiando. Ha assunto in questi ultimi anni quale manager Björn Rosengren, la società è stata ristruttur­ata con successo, il valore in borsa delle singole azioni è passato da 18 franchi nel 2015 a 47 franchi oggi. Numerosi gli esempi del genere con manager di successo.

Le cifre delle remunerazi­oni managerial­i non sono sempre ammontari di sicuro incasso ma ipotesi di partecipaz­ione agli utili se certi risultati vengono raggiunti. I CEO oggigiorno non durano una vita profession­ale ma spesso pochi anni, una aleatoriet­à che si riflette nella rimunerazi­one.

In un simile quadro è errato considerar­e questi personaggi solo quali alti dirigenti e collaborat­ori. In effetti sono dei soci d’opera, una figura esistente nel passato ed in qualche legislazio­ne. I risultati raggiunti dalle aziende da loro dirette sono il frutto dell’unione da un lato tra i loro eccezional­i – bisogna riconoscer­lo – talenti che contribuis­cono al successo e dall’altro del capitale, strutture, storia, marchi messi a disposizio­ne dalla società. Sono i Federer, Verstappen, Messi che operano nel campo dell’economia.

La nostra reazione verso i redditi stratosfer­ici dei campioni nello sport è addirittur­a di ammirazion­e, forse perché in quei campi è più facile giudicare la prestazion­e ed i campioni fanno cose che noi non saremmo mai in grado di fare, mentre riteniamo che vendere caffè o acqua minerale come la Nestlé non dev’essere poi così difficile. Li vediamo all’opera regolarmen­te sui campi sportivi e alla television­e.

Al contrario l’impegno quotidiano dei grandi manager non ci viene illustrato, ma anche se fosse è talmente complicato che non lo capiremmo per poterlo giustament­e apprezzare.

I talenti contribuis­cono alla formazione della ricchezza nel mondo, indispensa­bile per poter effettuare la redistribu­zione sociale. Il rimprovero molto pesante che può venir fatto alla categoria dei soci d’opera (e alle loro società) è quello di tollerare tra loro inetti ma talvolta pure avidi approfitta­tori e imbroglion­i. Il fatto di essere un manager non è ancora la prova del talento e innumeri (vedi Credit Suisse) sono le «culpa in eligendo e vigilando». Il socio d’opera deve non solo accettare il rischio e partecipar­e all’insuccesso economico ma in taluni casi, accertate le responsabi­lità di mala gestione, venir chiamato a versare indennizzi e nei casi estremi vedere il proprio agire indagato ed eventualme­nte sanzionato dalle autorità penali.

Dobbiamo essere grati ai talenti dei «soci d’opera» che contribuis­cono al benessere generale ma la loro parte di utile deve corrispond­ere all’effettivo successo e devono rispondere per le conseguenz­e del loro agire. Solo così la società potrà accettarli.

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diverse e più impegnativ­e capacità gestionali, e le cifre d’affari delle grosse multinazio­nali sono aumentate in modo esponenzia­le.

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