Il taglio invocato da tempo è arrivato
deciso aumento del costo della vita. Che è un altro modo per dire che i salariati e pensionati europei si sono impoveriti e hanno faticato non poco a tenere il passo dell’inflazione. Una premessa per una recessione che – a onore del vero – non si è presentata. Almeno, non in tutte le economie europee e non nella medesima intensità. Ad ogni modo l’Europa nell’ultimo biennio ha danzato pericolosamente sul ciglio della crisi tanto che l’anno scorso la crescita economica è stata molto debole: +0,3% e che rischia di ripresentarsi allo stesso ritmo o poco più, nonostante le ottimistiche previsioni di un aumento dello 0,9%.
Ed è proprio la prospettiva di uno sviluppo anemico dell’economia europea e il rientro, o quasi, nei ranghi dell’inflazione - è ora al +2,6%, meglio del 10%, ma non ancora sotto il canonico e ortodosso 2% fissato come obiettivo ideale – che ha indotto la BCE ad accontentare le attese degli operatori con un mini-taglio ora e probabilmente un altro, sempre di un quarto di punto, già il prossimo luglio. Abbassare i costi di finanziamento per famiglie e imprese è infatti un modo per cercare di dare un abbrivio ulteriore alla crescita. E questo nonostante nel mese di maggio le tensioni inflazionistiche si siano ancora leggermente acuite. La presidente della BCE Christine Lagarde ha anche indicato nell’aumento dei salari la causa di questa tendenza inflazionistica che potrebbe perdurare anche per gran parte del prossimo anno. Nonostante ciò, il discorso della titolare della politica monetaria è sembrato più accomodante, almeno nell’immediato anche se il percorso di discesa dovrebbe essere – per usare le sue parole - «accidentato».
Nel frattempo, dall’altra parte dell’Atlantico, la Federal Reserve è invece molto più cauta sui prossimi tagli dei tassi sul dollaro. L’economia statunitense è messa molto meglio dal punto di vista sia della crescita, sia del mercato del lavoro e con pressioni inflazionistiche maggiormente presenti rispetto al Vecchio Continente. Il tasso d’inflazione core, quello monitorato dalla Fed per adeguare la sua politica monetaria, a maggio era in rialzo al 2,8% su base annua. Fattori che allontanano nel tempo la stagione dei tagli. Difficilmente, quindi, mercoledì della prossima settimana Jerome Powell seguirà la sua omologa europea sulla via dell’allentamento della stretta. Differenziali di tassi eccessivi tra Europa e Stati Uniti possono interferire anche negli scambi commerciali oltre allo spostamento di capitali da una sponda all’altra dell’Atlantico.
Per quanto riguarda la Svizzera, la BNS nel marzo scorso ha anticipato tutti abbassando per prima i tassi guida che avevano fatto un percorso al rialzo ancora più veloce delle controparti europee e statunitense partendo addirittura da sotto lo zero. La situazione elvetica è però diversa, almeno da quella europea, per il fatto che oltre alla leva dei tassi d’interesse per contenere le aspettative inflazionistiche e moderare l’aumento dei prezzi importati, si è utilizzata anche quella dei cambi. L’istituto di emissione svizzero ha quindi un margine più ampio di apprezzamento della politica monetaria e potrebbe permettersi tra due settimane di ridurre ancora di un quarto di punto il tasso guida ora all’1,5%. I debitori ringrazierebbero, meno i risparmiatori che avevano appena ritrovato il gusto di un rendimento bancario dignitoso.