Corriere del Ticino

Il padre scappò in Svizzera per sfuggire al nazismo

/ Refael Kauders è la quinta vittima con passaporto italiano dal massacro del 7 ottobre - La famiglia raggiunse Israele nel 1968

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Un soldato italo-israeliano riservista di 39 anni è morto in un attacco di Hezbollah nel nord del Paese ebraico. Refael Kauders è la quinta vittima con passaporto italiano, primo membro dell’esercito, dallo scoppio della guerra dopo il massacro del 7 ottobre. Il sergente, che prestava servizio come riservista nel 5030. Battaglion­e della Brigata

Alon come coordinato­re del rabbinato militare, si trovava a Hurfeish, un villaggio a maggioranz­a drusa ai confini con il Libano, con i suoi dieci commiliton­i mercoledì, quando due droni hanno colpito la zona. Per cause ancora da verificare, non è risuonato l’allarme aereo, per cui non sono scattate le sirene. Il primo drone ha colpito i militari. Il secondo ha colpito poco dopo, mentre le squadre di soccorso raccogliev­ano i feriti. Due quelli gravi, tra i quali Refael Kauders. La morte del connaziona­le è stata confermata dal ministro degli esteri italiano Antonio Tajani, il quale su X ha annunciato di aver «parlato con la famiglia per esprimere le condoglian­ze a nome di tutto il Governo». I Kauders, originari di Milano e Fiume, sono da sempre molto attivi nella comunità degli Italkim, gli italiani in Israele. Il padre di Refael, Vittorio Biniamin, insieme alle sorelle Mirella e Bianca, scapparono in Svizzera per sfuggire al nazismo, facendo poi aliyah, la “salita”, il processo d’immigrazio­ne ebraica in Israele, nel 1968, dopo la Guerra dei Sei Giorni. Bianca, la zia di Refael, l’11 giugno 2003 era a Gerusalemm­e sull’autobus 14a, quando all’altezza della centrale piazza Davidka un uomo vestito da ebreo ortodosso, che in realtà era un terrorista di Hamas, si fece esplodere uccidendo la donna e altre sedici persone, e ferendone più di cento. Refael Kauders, ultimo di sette figli, lascia la moglie e quattro figli che risiedono a Tzur Hadassah, non lontano da Gerusalemm­e.

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