Un’adolescenza difficile
/ Il nuovo romanzo di Giorgio Scianna, «Senza dirlo a nessuno», torna a parlare ai giovani e ai loro genitori raccontando un’emblematica storia di oggi che mette in evidenza gli errori degli adulti quando le famiglie si spaccano
Chissà mai se, per Scianna, tutto ruota attorno ad un’empatica riflessione su una delle tante difficoltà di crescita degli adolescenti e poi, in un secondo momento, dentro quella nasce una storia. O se al contrario prima si fa avanti una storia all’interno della quale trovano poi spazio ansie e paure di quell’età ingrata, eppure bellissima e invidiata. Conta poco. In ogni caso Scianna è uno scrittore che, per le problematiche adolescenziali e gli adolescenti, ha una spiccata predilezione. Sa ascoltarli (per il tramite anche di un progetto ad hoc: «Lo Struzzo a scuola») e sa intercettarne ombre e luci come pochi sanno fare, senza cadere nella trappola del grillo parlante o nella retorica paternalistica e pretesca. E questo ultimo romanzo per ragazzi e adulti, lo conferma ancora una volta. Un romanzo avvincente, incalzante come un giallo mozzafiato, che tra un inseguimento e l’altro - e qui l’inseguito è, come dev’essere, il giovane sedicenne Manish - mette a confronto il mondo degli adulti, gli inseguitori, e quello della generazione Z, i giovani nati dopo i millenials. Tra gli adulti stanno ovviamente a pieno titolo anche i genitori di oggi, quel genere di genitori che faticano a dire un no o a confrontarsi con i figli senza per forza giudicarli. Genitori, insomma, che spesso non sanno assumersi le responsabilità del ruolo educativo che, volenti o nolenti, di fatto rivestono nei loro confronti e di cui gli stessi figli avvertono l’assenza, causa, ad esempio, il pervicace sostare ad oltranza nel cerchio incantato del forever young. Manish è invece un riuscito ritratto di sedicenne: molto libero, ai limiti dell’abbandono, e molto insicuro, desideroso di mettersi in gioco e provarsi, animato da una vena tutta personale di altruismo e allo stesso tempo malato di solitudine. Solo, come soli riescono a sentirsi esclusivamen
te gli adolescenti. Un giovane in cerca di conferme e sicurezze, con un’energia e un entusiasmo utili a sostenere le migliori cause. E poi, certo, un ragazzo che vive in un mondo tutto suo, che non vuole intromissioni degli adulti, ma anzi prova a tenere lontano, e per quieto vivere e perché in fondo non li ritiene in grado di capire né lui né quel mondo. E infine, il giovane Manish, è ritratto anche esteriormente come ce lo aspettiamo: cuffie e cellulare perennemente in mano, basket e amori liquidi, gusti musicali ostici e distanzianti, sostanze psicotrope e confronto anche duro con il mondo avventuroso del malaffare, perché Manish «è tutto e il contrario di tutto» afferma la madre confusa e preoccupata. Un sedicenne fatto e finito, che «si adatta. È segno di intelligenza sociale» chiosa il padre, all’opposto. Comunque sia è, e rimane per tutto il racconto, un bravo ragazzo, lo si avverte con serenità nonostante gli accadimenti, che proviamo a riassumere. Le difficoltà di Manish datano
dall’età di anni sette, quando la mamma, dottoressa dermatologa, abbandona lui e il padre fotografo in quel di Londra e va a Genova innamorata di Guido, con il quale ha due figli, ancora piccoli al tempo dei fatti narrati. Trattasi di due mondi totalmente altri. Da una parte la vita con il collega Guido, incamminatasi sui binari di un’esistenza lavorativa assorbente, ripetitiva e un po’ noiosamente adulta, quanto piccolo borghese; dall’altra una vita bohèmienne, arruffata e libera da vincoli e regole, a tratti disturbante e disattenta, apparentemente disordinata. La vita che un a volta conduceva anche Barbara, la mamma, e che sempre conduce Kirti, il padre, che a Manish «non gli chiede mai di fare niente: loro funzionano così». La mamma è dunque lontana, in Italia e ormai in uno spazio mentale differente. E là a Londra, dove si trova (ma potrebbe essere ovunque) Manish, si misura con la Ganja e lo spaccio, («la prima volta era stata quando aveva procurato dell’erba per la festa della
scuola, al secondo anno. Non era stato vero spaccio, avevano raccolto i soldi tutti insieme e lui si era limitato a portare due buste di marijuana. Poi avevano cominciato a chiedergliene…») ma come per finta, per essere in gruppo, sentirsi accettato, perché «pensava solo che avere qualche soldo da parte poteva essergli utile anche se non aveva la più pallida idea per cosa». Da quel momento la vita corre veloce e troviamo Manish a Roma. A Roma, arrestato nel corso di una retata «per spaccio dentro un parco dove i ragazzi ci dovrebbero andare solo per il torneo di pallone. A sedici anni lo avevano ammanettato e lo avevano minacciato. A sedici anni qualcuno gli aveva detto: ti taglio la gola». A questo punto la mamma abbandona Guido e i figli e si precipita nella capitale. Capire cosa sia avvenuto e perché la polizia lo abbia arrestato è il primo motivo della sua repentina partenza. Poi, i fatti incomprensibili che hanno portato ad un immediato rilascio, si fanno gravidi di domande che sembrano