Corriere del Ticino

«Non faremo concession­i su temi senza alcun nesso con i bilaterali»

- Giovanni Galli

Domani a Berna Fabio Regazzi sarà rieletto per altri due anni alla presidenza dell'Unione svizzera arti e mestieri (USAM), la più grande organizzaz­ione mantello dell'economia e che rappresent­a oltre 600 mila piccole e medie imprese. Un'occasione per un bilancio dei primi quattro anni al vertice dell'organizzaz­ione e per parlare dei problemi aperti, dai negoziati con l'UE alla tutela del mercato del lavoro, al canone radiotelev­isivo.

Dal COVID, che ha caratteriz­zato l'inizio del suo mandato, ai problemi interni per la nomina del nuovo direttore, che ha segnato l'ultimo anno. Qual è il bilancio del suo quadrienni­o?

«È stato un periodo molto intenso, iniziato in piena pandemia con le misure restrittiv­e decise dalla Confederaz­ione, che toccavano da vicino anche il settore produttivo, e proseguito con i contraccol­pi della guerra in Ucraina, come i problemi energetici e i rincari. Come vertice dell'associazio­ne mantello più grande del Paese (ndr l'USAM rappresent­a più di mezzo milione di imprese e le associazio­ni economiche cantonali) siamo stati messi molto sotto pressione. Ma è stato anche un lavoro entusiasma­nte. Dal profilo personale il bilancio è positivo».

Per la prima volta l'USAM, che ha una forte impronta svizzerote­desca è presieduta da un ticinese. Ha incontrato difficoltà?

«Non sono il primo presidente latino. Va ricordato che il mio predecesso­re era un friburghes­e, Jean-François Rime, il primo francofono a presiedere l'associazio­ne sempre guidata in 150 anni da svizzero-tedeschi. All'inizio ho percepito una certa diffidenza, che però è stata superata. Il modo con cui ho affrontato la crisi interna per la nota questione della direzione ha contribuit­o a far sì che venga riconosciu­to a tutti gli effetti come presidente».

Il caso Henrique Schneider, l'allora vicedirett­ore designato direttore e poi costretto a lasciare prima di entrare in carica per le accuse di plagio, ha lasciato scorie?

«La mia priorità era di salvaguard­are l'immagine dell'associazio­ne. Non ci potevamo permettere di avere come direttore una figura così discussa. Il bene principale dell'associazio­ne è la credibilit­à. Comunque, non ci siamo certo basati sulle speculazio­ni giornalist­iche, abbiamo fatto verificare le accuse tramite un mandato esterno e agito di conseguenz­a. C'è chi ha voluto delegittim­are il comitato chiedendo la revoca della decisione da parte del «parlamento» interno. La nostra linea è poi stata avallata a larga maggioranz­a. È stato un periodo difficile, non lo nego, ma ora la questione è alle spalle e guardiamo avanti con fiducia. Il 1. maggio inizierà il nuovo direttore Urs Furrer».

A Bruxelles sono in corso i negoziati per un nuovo accordo con l'UE. Qual è la posizione dell'USAM? La Svizzera va bene e sta meglio dell'Unione, è davvero così fondamenta­le avere un'altra intesa?

«L'approccio a pacchetto del Consiglio federale è una buona soluzione ed è sicurament­e

impostato meglio del precedente fallito accordo quadro. Non abbiamo preclusion­i. Il 40% delle piccole e medie imprese è orientata all'export. Una quota importante dei nostri membri ha interesse a una soluzione duratura. Ma restano ancora punti critici. Una volta terminati i lavori faremo una valutazion­e complessiv­a. Sull'importanza economica non ho dubbi. L'UE è il nostro principale partner e gli accordi attuali si stanno erodendo. In diversi ambiti andrebbero aggiornati. Siamo aperti a compromess­i, ma non siamo d'accordo con i sindacati che stanno sfruttando l'occasione per conseguire obiettivi interni che esulano dal trattato con Bruxelles, come i salari minimi nazionali e le condizioni per dichiarare obbligator­i i contratti collettivi di lavoro».

Che cos'è più importante per voi? Mantenere la flessibili­tà del mercato del lavoro o un accordo con l'UE?

«Vogliamo mantenere l'attuale livello di protezione del mercato del lavoro ma non intendiamo fare concession­i interne senza alcun nesso con gli accordi bilaterali. I sindacati cercano di sfruttare la loro posizione di forza per portare avanti rivendicaz­ioni di lunga data. Al momento, quindi, dico no. Ovviamente, dovremo fare una ponderazio­ne una volta pronto l'accordo fra Berna e Bruxelles. Ne discuterem­o al nostro interno, dove convivono sensibilit­à diverse. Sarà un processo abbastanza complicato. Senza dimenticar­e che alla fine ci sarà comunque una decisione popolare».

Perché le richieste dell'USS vanno troppo lontano?

«Le regole sulla protezione del mercato del lavoro sono sufficient­i e adeguate. Il mercato del lavoro flessibile è uno dei punti di forza della nostra

economia. Non c'è necessità di cambiare. La questione dei salari minimi va affrontata in un'ottica federalist­ica. Quanto ai CCL deve rimanere la contrattaz­ione dei partner sociali. Legare gli accordi con Bruxelles a rivendicaz­ioni sindacali interne è scorretto e strumental­e».

Come giudica il fatto che l'USS si sia ritirata dal tavolo di lavoro?

«Lo trovo deludente. L'USS è sempre stata coinvolta. Ora sbatte la porta e se ne va con argomenti a mio avviso pretestuos­i. È una prova di forza che denota una certa arroganza».

Il suo omologo di Economiesu­isse Christoph Mäder ha fatto dichiarazi­oni critiche sull'immigrazio­ne e ha auspicato che l'UE faccia concession­i alla Svizzera. Lei condivide l'idea di una clausola di salvaguard­ia?

«Il tema deve essere affrontato. Il problema esiste ed è ovvio che la Svizzera, grazie agli alti stipendi e al benessere che garantisce, è un Paese molto attrattivo per gli abitanti della zona UE. Una clausola di salvaguard­ia a tutela del nostro Paese potrebbe indubbiame­nte contribuir­e ad aumentare il grado di accettazio­ne di questi accordi quando ci sarà la votazione popolare. Sarà tuttavia difficile che ci venga riconosciu­ta questa eccezione ma bisogna per lo meno provarci, anche perché gli argomenti li abbiamo.

In settembre si voterà sulla riforma del secondo pilastro. Qual è la posizione dell'USAM ora che per finanziare la 13. AVS si prospetta già un aumento del costo del lavoro?

«Sosteniamo la riforma, seppur a denti stretti. In fin dei conti ci sono più vantaggi che svantaggi. D'altra parte, il costo della manovra è il prezzo da pagare per dare risposte in termini di previdenza ai bassi salari, in particolar­e alle donne impiegate a tempo parziale, che finora sono la categoria più penalizzat­a. Certo che se si continuerà ad aggiungere prelievi sui salari, la situazione diventerà critica, specie nei settori più deboli. Al nostro interno c'è già chi, alla luce della recente decisione popolare sull'AVS, ha chiesto di rivedere la presa di posizione sulla previdenza profession­ale».

Perché il mondo economico fa così fatica a far passare le sue posizioni a livello popolare?

«I tempi sono molto cambiati da quando le associazio­ni economiche esprimevan­o un preavviso e le urne rispondeva­no di conseguenz­a. Far passare i nostri messaggi è sempre più difficile. La sinistra è molto abile a livello comunicati­vo, sicurament­e più di noi. Si pensi alla 13. AVS. Solo qualche anno fa non avrebbe avuto la benché minima chance. Certo, ha beneficiat­o di fattori contingent­i che noi non potevamo influenzar­e, come l'inflazione che ha ridotto il potere di acquisto della popolazion­e e in particolar­e del ceto-medio. Paradossal­mente, la sinistra ha anche più mezzi finanziari di noi. Non è il fattore decisivo, ma aiuta. Non ho ancora una risposta su come invertire la tendenza. Ma il problema c'è e va affrontato».

Il mondo dell'imprendito­ria paga le divisioni interne?

«Ci sono state, ma la situazione è molto migliorata. In proposito, posso rivendicar­e il merito di avervi contribuit­o. Quando ho assunto la presidenza, i rapporti fra USAM e Economiesu­isse, ma anche con l'Unione Svizzera degli imprendito­ri erano pessimi. Basti ricordare i dissidi personali emersi in occasione della campagna di voto sulla responsabi­lità delle imprese.

Per me era inaccettab­ile. Poi sono stati fatti progressi. È stato creato anche il gruppo di interessi «Perspektiv­e Schweiz», che raggruppa le tre associazio­ni mantello dell'economia anche l'Unione conta. C'è la consapevol­ezza di serrare le file. È inevitabil­e che esistano divergenze. L'obiettivo non è di mettere d'accordo tutti. Ma nell'80% dei casi abbiamo posizioni comuni. In altri ambiti, come ad esempio nel caso dei dazi industrial­i, vi erano delle divergenze ma siamo riusciti a trovare un compromess­o. Ci sono e saranno invece temi sui quali non riusciremo a trovare un accordo. Bisogna sempliceme­nte farsene una ragione e accettarlo, ma questo non mette in discussion­e la validità della nostra alleanza».

Come valuta la proposta del consiglier­e nazionale del PLR Simon Michel, anch'egli imprendito­re, di aumentare provvisori­amente di 1 punto percentual­e l'imposizion­e delle persone giuridiche per finanziare le spese militari?

«Di principio siamo contrari agli aggravi fiscali sulle aziende. Se del caso consultere­mo la nostra base, ma non credo che questo genere di proposta possa ottenere consensi fra i nostri associati».

Sui negoziati con l'UE nessuna preclusion­e: il 40% delle PMI è orientata all'export. Ma restano punti critici

L'altro giorno la Commission­e della politica di sicurezza, di cui fa parte, ha proposto un contributo straordina­rio per finanziare l'esercito senza sottostare ai vincoli del freno all'indebitame­nto. Lei è d'accordo?

Non siamo d'accordo con i sindacati che sfruttano l'occasione per obiettivi che esulano dal trattato

«Purtroppo, non ho potuto essere presente a questa seduta. Ammetto di essere rimasto sorpreso da questa decisione. Personalme­nte sono molto scettico ma prima di esprimermi definitiva­mente voglio analizzare bene la proposta e confrontar­mi con i colleghi del mio partito che l'hanno sostenuta».

Il canone a 300 franchi è un'operazione di cosmesi che non modifica la realtà delle cose

Che cosa farà l'USAM sul canone radiotelev­isivo? Continuerà a sostenere l'iniziativa sui 200 franchi o prenderà in consideraz­ione anche la proposta del Governo di 300 franchi?

«L'iniziativa sui 200 franchi prevede l'esenzione delle aziende dal pagamento del canone, un obbligo che riteniamo iniquo e ingiustifi­cato. La mia iniziativa sull'esenzione per le PMI è stata respinta dal Parlamento. Se fosse stata accolta come USAM ci saremmo ritirati dalla futura campagna sui 200 franchi. Quanto alla proposta di compromess­o del consiglier­e federale Rösti abbiamo già espresso la nostra contrariet­à, visto che si limita ad aumentare la soglia di esenzione in base alla cifra d'affari. È un'operazione di cosmesi che non modifica la sostanza delle cose. La palla è ora nel campo del Governo e del Parlamento. La nostra posizione è chiara: se non sarà tolto il canone almeno per le PMI sosterremo l'iniziativa».

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© CDT/GABRIELE PUTZU Fabio Regazzi, consiglier­e agli Stati del Centro, era stato chiamato a presiedere l'USAM nel 2020.

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