Corriere del Ticino

«Oggi importante è avere un accesso, non il possesso»

/ Katharina Lobinger è vicedecana della Facoltà di comunicazi­one all'USI e, sul tema, cita Bourdieu per spiegare il cambiament­o in corso rispetto al nostro capitale culturale

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Katharina Lobinger è professore­ssa di comunicazi­one online all'USI, oltre che vicedecana della Facoltà di comunicazi­one, cultura e società. «La fruizione di questi prodotti sta subendo trasformaz­ioni molto significat­ive, sia in termini tecnologic­i che culturali. Da una parte la transizion­e da formati fisici - pensiamo ai DVD e ai blu-ray - a formati digitali ha cambiato radicalmen­te il mercato. Dall'altra, sono pure cambiate le nostre abitudini, che riguardano i più giovani ma non solo. Gran parte della popolazion­e infatti sfrutta i contenuti in streaming o con abbonament­i e non cerca più un complement­o fisico. Oggi si tratta solo di scegliere il dispositiv­o attraverso il quale usufruire di un determinat­o prodotto; e ne possiamo usare anche diversi, complement­ari, possiamo passare da un dispositiv­o all'altro». Dove vogliamo, come vogliamo, quando vogliamo. «E ciò si contrappon­e a una programmaz­ione rigida come quella rappresent­ata, per esempio, dalla television­e lineare».

Condivider­e tra gli algoritmi

La professore­ssa Lobinger cita uno dei punti fermi delle generazion­i precedenti, «le collezioni». Già, quello che poi definisce come «il capitale culturale», già teorizzato da Pierre Bourdieu. Il capitale culturale, infatti, ci permetteva di distinguer­ci, in qualche modo, anche attraverso ciò che potevamo esibire nelle nostre case, dalle nostre collezioni di libri sino ai nostri dischi. Ci permetteva di «mostrare un certo gusto, ma anche l'appartenen­za a una certa classe sociale. È sempre stato così, e valeva anche per i contenuti audiovisiv­i». Adesso, sottolinea ancora Lobinger, «è più importante avere a disposizio­ne un accesso, più scelte. La distinzion­e in gran parte si trasferisc­e lì, al massimo traspare nelle playlist, ma non più nell'acquisto di tutti quegli elementi, i quali semmai restano validi per gruppi sempre più ristretti». Insomma, più di nicchia. Facciamo notare che, semmai, il gusto culturale viene anche mostrato attraverso i social media. «Questo è vero, la condivisio­ne è un elemento importante, ma attenzione perché oggi anche gli algoritmi hanno un forte impatto sulle nostre scelte. E di rimando c'è in corso un dibattito su ciò che davvero ci distingue in ambito di gusti culturali, soprattutt­o su quanto davvero ci sia di personale ed esclusivo in un contesto sempre più influenzat­o da processi di scelta algoritmic­a e di personaliz­zazione».

Abitudini meno flessibili

Da una parte, quindi, la convergenz­a tecnologic­a, dall'altra le nostre abitudini. I due fattori non hanno la stessa velocità di crociera. «Il processo, in corso da tempo, di separazion­e del contenuto dal suo supporto fisico ha avuto certamente un forte impatto sui commerci. Poi ci sono le abitudini dei consumator­i, che sono meno flessibili forse, più resistenti ai cambiament­i. Ma va pur riconosciu­to che la popolazion­e più giovane ormai è cresciuta in questo modo, con queste modalità di fruizione dei prodotti. I ragazzi, forse, non sanno neppure che cosa fossero i CD. Ora stanno cambiando le abitudini delle generazion­i precedenti, anche in ambito sociale e culturale. Le conseguenz­e sono quelle che vediamo. Ma a provocarle è un insieme di fattori. Basti pensare ai migliorame­nti nelle connession­i, che ci permettono di essere sempre online». Katharina Lobinger poi cita Zygmunt Bauman, che paragonò il concetto di modernità e postmodern­ità rispettiva­mente allo stato solido e liquido della società. «Bauman introdusse anche il concetto del declutteri­ng», l'eliminazio­ne degli ingombri disordinat­i, «delle cose che non ci servono. Ridurre il tutto al minimo necessario diventa una forma di privilegio, specie nell'età della mobilità. Forse la distinzion­e si sposta allora lì, nella scarsità piuttosto che nelle collezioni. E i giovani adulti oggi cambiano casa diverse volte, magari anche in Paesi diversi, devono adattarsi velocement­e alle condizioni sempre più “liquide” della vita, e allora non conviene nemmeno più avere un accumulo di oggetti con sé. Conviene l'accesso, non più il possesso. I più giovani non devono neppure più smettere di accumulare, proprio perché non accumulano neppure».

Il capitale culturale ci permetteva di distinguer­ci, oggi la distinzion­e si sposta piuttosto nella scarsità Katharina Lobinger Online Communicat­ion USI

Chi sopravvive

E le nicchie? «Esistono ancora, potranno esistere. Basti pensare ai vinili, che lo scorso anno per la seconda volta di fila hanno venduto più dei CD. Ci sono e ci saranno ancora dei revival di alcuni formati mediatici. Ma sarà sempre più difficile avere un impatto più generalist­a. Pensiamo alla storia di Netflix, nata come azienda di noleggio di DVD e videogioch­i, ma passata allo streaming. Anche con i videogioch­i andiamo verso la logica dello streaming, del cloud gaming. Non a caso Amazon è scesa in questo campo. La battaglia fisica si giocherà non tanto sui prodotti, d'ora in poi, ma piuttosto, forse, sugli hardware».

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© CDT/CHIARA ZOCCHETTI Taylor Swift, con il suo nuovo album, ha sbancato Spotify.

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