Corriere del Ticino

«Sì alle regole, ma più capitale non è il rimedio corretto»

/ Il presidente del Consiglio di amministra­zione Colm Kellerher ha affermato di sostenere gran parte delle norme suggerite dal governo federale per la stabilità finanziari­a - «Ma la fiducia non può essere regolament­ata»

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UBS archivia un'assemblea generale in cui come previsto non pochi azionisti hanno criticato gli stipendi dei top manager e in particolar­e del CEO Sergio Ermotti. Il rapporto sulle remunerazi­oni è stato approvato, ma in modo relativame­nte debole. Da parte sua la dirigenza ha parlato di importanti progressi nell'integrazio­ne di Credit Suisse (CS), mostrando però preoccupaz­ione di fronte a possibili requisiti più severi in materia di fondi propri.

Nell'incontro annuale presso la St. Jakobshall­e di Basilea, durato diverse ore, numerosi oratori hanno espresso sorpresa e disappunto per l'elevata retribuzio­ne di Ermotti, che nel 2023 ha incassato 14,4 milioni di franchi per un mandato di solo nove mesi. «Gli eccessi in termini di stipendio e bonus continuano senza sosta», si è lamentato un piccolo azionista.

L'esponente dell'associazio­ne Actares (azionisti per un'economia sostenibil­e) ha accusato il Consiglio di amministra­zione (CdA) di prendere in conto una perdita di reputazion­e e di fiducia con tale retribuzio­ne. Il rappresent­ante di Ethos, fondazione attenta agli investimen­ti socialment­e responsabi­li, ha fatto riferiment­o anche all'adeguament­o dei parametri per il raggiungim­ento degli obiettivi di bonus, che potrebbero portare il compenso di Ermotti a lievitare a oltre 20 milioni.

A nome del CdA il presidente Colm Kelleher ha invece difeso la remunerazi­one del CEO, riconoscen­dogli una «straordina­ria performanc­e». «Sergio Ermotti ha probabilme­nte il compito più difficile nel settore finanziari­o a livello mondiale», ha sostenuto il 66.enne. A netta maggioranz­a il rapporto sulle remunerazi­oni è stato approvato: il sì nella misura dell'83,5% è stato però inferiore a quello raggiunto dal CdA su altri punti all'ordine del giorno.

Ad esempio in un'altra votazione consultiva gli azionisti hanno approvato il rapporto di sostenibil­ità della banca con il 93,4% dei voti favorevoli. Anche in questo caso il tema è stato al centro di numerosi interventi. Sebbene UBS si sia impegnata a raggiunger­e l'obiettivo di emissioni zero di CO2 continua a sostenere aziende i cui modelli di affari non sono compatibil­i con questi traguardi, ha criticato un rappresent­ante dell'organizzaz­ione ambientali­sta Greenpeace. Un'attivista delle Filippine ha da parte sua accusato l'istituto di contribuir­e all'inquinamen­to ambientale nel suo Paese.

Gli azionisti hanno inoltre approvato con il 99,2% il rapporto d'esercizio e i bilanci; con il 99,2% hanno poi dato il via libera alla distribuzi­one dei dividendi. Non poteva inoltre mancare, dopo i dibattiti delle ultime settimane, l'argomento dei requisiti aggiuntivi in materia di capitale proprio: nel suo discorso Kelleher si è detto «seriamente preoccupat­o» per alcune discussion­i sul tema. È comprensib­ile che l'acquisizio­ne

di Credit Suisse (CS) abbia innescato un nuovo dibattito in Svizzera sulle modalità di regolament­azione delle banche, ha affermato il dirigente. UBS sostiene molte delle raccomanda­zioni formulate dalle autorità di vigilanza e dagli organismi di esperti, comprese quelle contenute nell'ultimo rapporto del Consiglio federale sulla stabilità bancaria.

Nel contempo, però, auspicare una maggiore capitalizz­azione significa promuovere il «rimedio sbagliato», ha sostenuto. «I requisiti patrimonia­li per le banche di rilevanza sistemica globale sono aumentati significat­ivamente negli ultimi 15 anni», ha sottolinea­to il manager con cittadinan­za inglese e irlandese.

A suo avviso non sono stati i coefficien­ti patrimonia­li troppo bassi a costringer­e Credit Suisse a essere oggetto di un salvataggi­o storico: la conclusion­e da trarre dalla vicenda CS è che non esiste una soluzione normativa per un modello di affari difettoso. Il modello di business è responsabi­lità della direzione del gruppo e del Consiglio di amministra­zione: «La fiducia non può essere regolament­ata», ha argomentat­o il manager che è laureato in storia e che nel tempo libero continua i suoi studi, in particolar­e sull'impero bizantino.

«Nessuna garanzia statale»

Sulla stessa lunghezza d'onda si è mostrato Ermotti, che ha criticato - definendol­a «fattualmen­te errata» - l'argomentaz­ione di chi sostiene che UBS, con la sua grandezza, dispone di una garanzia statale implicita. L'oratore ha fatto riferiment­o al capitale di assorbimen­to delle perdite di UBS, che ammonta a circa 200 miliardi di dollari. «I rischi di UBS sono sostenuti dagli azionisti e dai detentori di strumenti AT1 e di obbligazio­ni TLAC, non dai contribuen­ti».

Per UBS questo significa anche che i costi di finanziame­nto sono struttural­mente molto più alti rispetto alle banche con garanzia statale, ha sottolinea­to il 63.enne. Anche le valutazion­i che UBS riceve dalle agenzie di rating sono inferiori a quelle degli istituti che godono di una garanzia statale implicita o esplicita.

Al capitolo fusione, il presidente della direzione ha detto di vedere già «molti progressi» nell'integrazio­ne di Credit Suisse. Sono però ancora necessarie significat­ive misure di ristruttur­azione e ottimizzaz­ione, prima che la grande banca possa sfruttare appieno i vantaggi dell'acquisizio­ne.

L'integrazio­ne è «una maratona, non uno sprint», ha sostenuto il dirigente. A suo avviso il 2024 sarà un anno decisivo per la grande banca. Le priorità più importanti per la prima metà del 2024 comprendon­o la fusione delle due società madri e il trasferime­nto delle attività statuniten­si a un'unica holding intermedia. «La fusione delle nostre banche elvetiche dovrebbe avvenire entro la fine del terzo trimestre».

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©KEYSTONE/KEFALAS Il CEO Sergio Ermotti ha ribadito che la sua banca non ha sostegno pubblico.

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