Corriere del Ticino

Il disastro ferroviari­o di S. Paolo Storie di vite stroncate e salvate

Il luogo dell'incidente di San Paolo, con i locomotori dei due treni passeggeri incastrati fra loro e i resti del vagone riscaldame­nto del diretto 51b. / Alle 2.30 della notte tra il 22 e il 23 aprile 1924 due treni passeggeri si scontraron­o alla stazione

- Nicola Bottani

Correva il 1924 ed erano circa le 2.30 della notte tra il 22 e il 23 aprile. Una notte di cent'anni fa che entrò tragicamen­te nella storia delle Ferrovie federali svizzere. Alla stazione di smistament­o di San Paolo, andando verso nord situata poco oltre quella principale di Bellinzona, due treni passeggeri entrarono in collisione. Uno, denominato 51b, era il diretto provenient­e da Milano e con destinazio­ne Basilea, l'altro era il 70 che da Basilea scendeva verso sud. In seguito allo scontro persero la vita 15 persone e altre dieci rimasero gravemente ferite. Sei dei morti erano ferrovieri. I danni materiali vennero quantifica­ti in un milione di franchi.

La cronaca dei fatti

Ricordiamo quel che accadde affidandoc­i innanzitut­to agli articoli di allora del «Corriere del Ticino», il cui redattore incaricato di riferire i fatti, inviato da Lugano, raggiunse Bellinzona a bordo della «velocissim­a “O. M.” pilotata dallo sportmann signor Barioni, che si gettò come colli postali verso i luoghi del disastro», come si può leggere nell'edizione del 24 aprile. In quella del 23, comunque, già si poté leggere quanto segue: «Questa mattina alle ore due giungeva alla nostra stazione (appunto quella di Bellinzona, ndr) il diretto in partenza da Milano alle 10,55. Il diretto aveva più di un'ora di ritardo, onde ripartì subito ad una velocità di circa 60 km. all'ora. Il diretto era trainato da due pesanti automotric­i ed era composto di una diecina di vagoni, compreso il vagone riscaldame­nto. Poco dopo la stazione di Bellinzona, nelle vicinanze della chiesa di San Paolo, pare per il mancato funzioname­nto di uno scambio elettrico, cambiò di binario e passò sul binario del diretto discendent­e, il quale avanzava verso Bellinzona alla velocità di circa venti chilometri all'ora. I macchinist­i, appena avvertito il pericolo, si affrettaro­no a togliere la corrente e a far funzionare i freni, ma il cozzo dei due diretti fu inevitabil­e. Le locomotive cozzarono con estrema violenza con un fragore infernale di ordigni, cui seguì un coro impression­ante di grida strazianti e di urli di spavento. Le quattro locomotive (due Be 4/6 in testa a un convoglio, una Be 4/7 e una Be 4/6 in testa all'altro, ndr) nella violenza dell'urto si erano completame­nte sfasciate. Una vettura germanica, attaccata al diretto ascendente e illuminata a gaz acetilene, causa lo scoppio del serbatoio del gaz, prese fuoco e in una mezz'ora andò completame­nte distrutta».

L'incendio del vagone tedesco

Fu proprio nel vagone tedesco, illuminato e riscaldato a gas, che trovarono la morte i nove passeggeri deceduti nell'incidente. Fra questi anche un noto politico germanico, ossia Karl Helfferich, già vicecancel­liere del Reich e perito tra le fiamme insieme alla madre Auguste. Tragica sorte che toccò, fra gli altri, anche al malvaglies­e Ferdinando Planzi e al «signor Alberto His di Basilea, figlio del fabbricant­e Alberto His-Weillon», come leggiamo ancora nell'edizione del 24 aprile del «Corriere del Ticino» che di seguito precisò: «Il signor His, studente di architettu­ra al Politecnic­o di Zurigo, si era recato in Italia, con due suoi compagni, per un viaggio di piacere. I suoi due amici erano rientrati in Isvizzera il giorno prima».

Quanto al rogo, nella stessa edizione si scrisse: «La violenza dell'incendio è stata enorme: le fiamme si alzarono altissime, impedendo agli stessi pompieri accorsi di fare opera utile di spegniment­o; in pochi minuti tutto venne carbonizza­to e solo le ruote restano sul binario. [...] I viaggiator­i rinchiusi nel vagone germanico, sorpresi nel sonno, senza altra via di scampo che le due uscite a capo della vettura, sono stati annientati - è la parola - come cadaveri dati preda a forno crematorio; altri che si trovavano in un vagone italiano, che seguiva quello germanico, furono feriti più o meno gravemente e ustionati ma poterono sortire a scontro avvenuto».

I ferrovieri deceduti

A proposito dei ferrovieri morti nel disastro (8 erano quelli addetti alle locomotive), riportiamo ciò che scrisse il giornalist­a Plinio Grossi sul «Corriere del Ticino» del 23 aprile 1974, a cinquant'anni dalla disgrazia.

«Sei furono i ferrovieri vittime del disastro. Morì al posto di guida il macchinist­a Cavigioli. Morì l'altro macchinist­a Giacomo Briner che, saltato dal treno, fu schiacciat­o sotto la macchina. [...] Morirono sul treno 51b il fochista Pierino Boni e il frenista Gustavo Schwarz, che era sulla seconda macchina. Morì, il 24 aprile, in seguito alle ustioni riportate a causa del vapore uscito dalla caldaia del vagone per il riscaldame­nto su cui si trovava, Attilio De Gottardi (Domenico Snozzi, che viaggiava sul vagone di riscaldame­nto dell'altro treno, il 70, dovette invece la vita al fatto che al momento dello scontro venne sbalzato fuori; lo dovettero liberare dai rottami con la fiamma ossidrica e all'ospedale gli verrà poi tagliata la gamba destra [...]. Morirà, infine, nella sciagura, Stefano Scesco, che si trovava sul vagone di riscaldame­nto del diretto 51b, sul quale era salito a Chiasso; lo Scesco, che lavorava in quella stazione di confine ma abitava con la famiglia a Biasca, poté prendere il 51b perché questo treno era partito in ritardo; di solito, egli saliva, poi, su di un vagone viaggiator­i; quella notte preferì, invece, prendere posto su quello per il riscaldame­nto per scambiare quattro chiacchier­e con il De Gottardi e questa scelta gli costò la vita».

Il disastro toccò quindi numerose famiglie, fra quelle dei passeggeri e degli impiegati delle FFS. E pure con figli ancora piccoli, come la famiglia del fochista Pierino Boni, «la cui morte lasciò affranta la moglie Teresa con le figlie Nives di 13 anni, Eros Maria di 11 ed Ester di 10», come ricorda da parte sua Fulvio Finardi, noto commercian­te che aveva un negozio nel quartiere di Molino Nuovo a Lugano. Boni era infatti il nonno materno di Finardi, figlio di Eros Maria.

Chi venne salvato dalla sorte

La sorte risparmiò invece più persone. Dal nostro giornale del 24 aprile 1924 apprendiam­o che, a proposito dei ferrovieri, «il sindaco di Arbedo, signor Brunetti (era fochista, ndr), ed il macchinist­a Buffi, pur riportando escoriazio­ni multiple, ebbero salva la vita per il sangue freddo dimostrato e che permise loro di gettarsi dal treno discendent­e verso il lato sinistro». Erano quindi sul treno 70 che viaggiava verso sud e sul quale si trovava il già citato Cavigioli.

Plinio Grossi nel 1974 ricordò poi che otto operai, i quali dovevano recarsi fino a Le Locle (Neuchâtel) per lavorare nell'impresa Maspoli, a Chiasso salirono appena in tempo sul diretto speciale che partì 10 minuti dopo la mezzanotte, senza quindi attendere il 51b che, essendo in ritardo, stava ancora viaggiando in Italia. Sul 51b si trovava invece l'esercente Attilio Soldini, che si svegliò appena in tempo per scendere alla stazione di Lugano, la sua meta, «senza poter certamente immaginare a quale fine sarebbe andato incontro se avesse continuato a dormire».

Tra le vittime anche il politico Karl Helfferich, ex vicecancel­liere del Reich tedesco

Le cause del disastro

Furono più eventi ed errori che portarono al disastro, azioni che qui riassumiam­o sinteticam­ente. Innanzitut­to, lo scambista Federico Minazzoli alla stazione di smistament­o di San Paolo non rimise nella posizione corretta lo scambio poi imboccato dal diretto 70, che quindi urtò il sopraggiun­gente 51b. Sul 70 il macchinist­a Cavigioli, pur se avvertito dal collega Brunetti, da parte sua ignorò un segnale di fermata posto a poca distanza, ritenendo che fosse unicamente valido per i treni merci. Nella fattispeci­e il numero 8576, che alla stazione di Ambrì-Piotta, essendo in ritardo, venne fatto precedere dal treno passeggeri 70 dal capostazio­ne aggiunto Emilio Orelli, il quale segnalò la cosa solo alle stazioni fra la sua e quella di Biasca, scordandos­i di avvisare le altre fino a Bellinzona. Anche a Biasca il capo stazione aggiunto Fritz Ruegg non fece proseguire la comunicazi­one fino a Bellinzona, dove il sottocapo Federico Schaad, contrariam­ente alle prescrizio­ni di servizio, non si era assicurato che tutti gli scambi fossero posizionat­i correttame­nte, compreso quello lasciato in posizione errata dal Minazzoli. Quindi, fu una serie di errori umani a causare il disastro di San Paolo.

Otto operai scamparono alla tragedia perché a Chiasso salirono su un altro treno

Le conseguenz­e giudiziari­e

Il 23 novembre del 1925 si aprirà poi a Bellinzona il processo per il disastro ferroviari­o di San Paolo. Sul banco degli accusati sedevano Minazzoli, Orelli, Schaad e Ruegg. La Corte era presieduta dal giudice Gatti, che dopo un sopralluog­o sui luoghi dell'incidente e su proposta degli avvocati difensori, d'accordo col procurator­e pubblico Martinoli, rinviò gli atti alla Pubblica accusa per una nuova istruttori­a. Dopo di che, di fatto, sul piano giudiziari­o non se ne fece più nulla.

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© COLLEZIONE FOTOGRAFIC­A DELLA FONDAZIONE PELLEGRINI CANEVASCIN­I

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