Corriere del Ticino

«Un avvertimen­to mirato e preciso: “Sappiamo dove colpire”»

/ Paolo Capitini, generale di brigata e analista militare: «Dietro gli ayatollah ci sono la Cina, l'India e soprattutt­o la Russia con la sua industria missilisti­ca»

- Giacomo Butti

«No, non è una de-escalation. Dopo tanti anni di confronto a distanza - o confronto attraverso fiancheggi­atori, da una parte e dall'altra - Iran e Israele si affrontano a viso aperto, e questo è un elemento molto importante. Teheran ha deciso di uscire allo scoperto, di scendere in campo direttamen­te. Anche se non ha alcuna fretta di confrontar­si militarmen­te con Israele. Questo perché sta cercando di completare il suo programma nucleare. L'Iran non vede alcun vantaggio nel passare a una guerra aperta e ad alta intensità. Per mantenere la pressione alta, alla Repubblica

islamica basta regolare le azioni di Hezbollah, di Hamas, degli Houthi».

Paolo Capitini, generale di brigata italiano ed esperto di scienze strategich­e e storia militare, «legge» l'evoluzione del conflitto tra lo Stato ebraico e gli ayatollah sciiti di Teheran. E ne anticipa i possibili approdi. ««Israele ha esigenze esattament­e opposte all'Iran - dice Capitini al CdT -. Ha bisogno, quanto più velocement­e possibile, di avere la certezza che l'Iran non sia e non divenga a breve termine una potenza nucleare. E questo spiega la fretta e l'aggressivi­tà del governo Netanyahu: non è solamente una questione umorale, di pancia. Questi sono i due pilastri della questione: necessità di tempo per l'Iran, scarsità di tempo per Israele».

Nello scenario mediorenta­le, prosegue il generale italiano, gli attori sono molti, comprese ovviamente la grandi potenze. «Dietro l'Iran ci sono la Cina, l'India e, soprattutt­o, la Russia, riconoscen­te per il sostegno di Teheran nell'offensiva ucraina - dice Capitini -. L'Iran fornisce infatti droni e tecnologie, mentre i russi ricambiano con personale specializz­ato nell'industria nucleare e missilisti­ca. Con questo quadro complessiv­o, parlare di de-escalation per l'atteggiame­nto remissivo tenuto oggi dall'Iran significhe­rebbe perdere la visione d'insieme. Il mondo che dovremo affrontare per qualche anno è un altro ed eventi come quello di giovedì notte sono destinati a ripetersi».

Una cosa, tuttavia, è chiara: l'avvertimen­to di Israele, per quanto contenuto militarmen­te, è stato alquanto esplicito. «Israele ha colpito una delle basi aeree più importanti, quella dove si trovano gli F-14 più o meno riammodern­ati dall'Aeronautic­a iraniana spiega Capitini -. A Esfahan ci sono poi una centrale di arricchime­nto dell'uranio e pure una sede protetta dei Guardiani della rivoluzion­e islamica, i pasdaran. Gli israeliani lo sapevano benissimo, non è certo un caso. Dopo quarant'anni di confronto, ciascuno sa tutto dell'altro. E ha voluto ribadirlo: “Sappiamo dove si trovano i siti importanti e volendo possiamo raggiunger­li. Sappiamo dove fare male”. Un messaggio lanciato dall'Iran anche la scorsa settimana. Sono scambi da fondo campo, per utilizzare una metafora tennistica. Al momento, nessuno è ancora andato a rete».

Capitini conferma, infine, un dato inquietant­e: il collegamen­to sempre più stretto fra le guerre in Medio Oriente e in Ucraina. «I due conflitti si stanno legando, è innegabile. Per capirlo basta un solo esempio: la strategia utilizzata dall'Iran per colpire Israele ricalca perfettame­nte quella utilizzata quotidiana­mente dai russi nei loro attacchi contro l'Ucraina. Saturare le difese aeree con i droni e, al contempo, lanciare i pezzi “pregiati”, i missili di una certa capacità, e con quelli colpire. Da questo punto di vista, a livello di tattiche di impiego, siamo già nella replica della guerra ucraina in Israele», conclude l'alto ufficiale italiano.

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