GLI ABUSI DI MILANO SONO PIÙ «BUONI»
Ci sono due tipi di condono edilizio, uno «buono» e l’altro «cattivo». Il secondo è quello tenuto a battesimo dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che premia gli speculatori responsabili di aver spostato un tramezzo di casa e chiuso un balcone trasformandolo in veranda e magari si sono pure spinti ad aprire una finestra su una parete «cieca». L’altro, quello «buono», è invece il condono che sana la realizzazione senza concessione edilizia di un condominio di dieci piani, costruito con una semplice Cila, la comunicazione di inizio lavori asseverata, sui resti di un palazzo molto più basso, ma con la scusa della ristrutturazione. A leggere i giornali, e anche ad ascoltare le reazioni di alcuni politici, si scopre che il provvedimento con cui il governo intende consentire la messa in regola di alcuni edifici leggermente fuori norma rispetto alla concessione edilizia è un premio ai furbi, mentre l’emendamento ad hoc che evita la demolizione di grattacieli tirati su in quattro e quattr’otto senza pagare neppure gli oneri di urbanizzazione è una misura sacrosanta, che va incontro alle esigenze di famiglie che hanno già versato una caparra per aggiudicarsi i nuovi appartamenti.
Come avrete capito, mi hanno molto colpito e anche un po’ indignato i commenti alla sanatoria voluta da Salvini e quelli alla «sanatoria» che salva il sindaco di Milano Beppe Sala e la sua giunta. Infatti, contro la prima si sono usate parole forti, come appunto condono, quando in realtà di condono il provvedimento ha poco, perché consente di regolarizzare opere difformi rispetto ai dati catastali per una percentuale molto contenuta. Tanto per intenderci, non sono consentite stanze in più o sopralzi di un piano, ma al massimo si può ottenere l’abitabilità per la mansarda con un soffitto un po’ più basso di quello previsto e il monolocale che ha alcuni metri quadri in meno di quelli fissati per legge. Insomma, si tratta di un «salva casa» che risolve problemi pratici con cui si scontra chi è proprietario di appartamenti non proprio realizzati a regola d’arte. Speculatori? Non mi pare e però nei loro confronti sono state usate parole pesanti, come appunto l’appellativo di furbi, che vogliono mettere in regola abusi edilizi.
hanno trasformato un garage in un edificio multipiano, facendolo crescere all’interno di corti condominiali. Il trucco usato nel capoluogo lombardo è appunto quello della comunicazione di inizio lavori, una semplice formalità redatta da un tecnico e inviata agli uffici municipali senza attendere alcun via libera e, soprattutto, senza pagare gli oneri di urbanizzazione, quasi che quella in corso fosse solo una normale ristrutturazione. Secondo quanto ha fatto sapere lo stesso Comune, di operazioni del genere a Milano ne sono in corso almeno 150. E su alcune di queste sono puntati gli occhi della Procura della Repubblica, che contestando l’interpretazione della giunta di centrosinistra e dei suoi funzionari ritiene che quelle costruzioni siano fuorilegge, frutto di un vero e proprio abuso, anche se consentito da dirigenti del settore urbanistica di Palazzo Marino.
Infatti, i pm hanno iscritto tutti nel registro degli indagati.
avremmo visto titoloni sulle prime pagine dei giornali e si sarebbe parlato del «sacco di Milano» e delle mani degli speculatori sulla metropoli. Invece la vicenda è stata affrontata con qualche strillo nelle pagine interne, come se si trattasse di ordinaria burocrazia, un piccolo incidente di percorso da regolarizzare con un emendamento su misura per rendere «conforme» ciò che conforme alla legge non era.
Il che dimostra come si possano avere due pesi e due misure, gridando allo scandalo se si sana qualche errore e invece considerando un peccato veniale, commesso in «buona fede» da tecnici e costruttori una prassi che, secondo alcuni calcoli, avrebbe fatto perdere al Comune di Milano centinaia di milioni sotto forma di oneri di urbanizzazione. E il danno alle casse pubbliche? Si sanerà anche quello con un condono? D’altronde, se l’abuso è fatto dai buoni, il resto viene da sé.
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