La Gazzetta dello Sport - Sicilia
Argento che BRUCIA L’ITALIA SI SPEGNE SUL PIÙ BELLO L’ORO DEL FIORETTO È DEL GIAPPONE
Grande equilibrio fino al penultimo assalto: decisivo il cambio Macchi-Foconi
1. Giappone (Takahiro Shikine,
Kazuri Iimura, Kyosuke Matsuyama, Yudai Nagano)
2. ITALIA (Tommaso MARINI, Guillaume BIANCHI,
Filippo MACCHI, Alessio FOCONI)
3. Francia (Enzo LEFORT, Maxime PAUTY, Maximilien CHASTANET, Julien MERTINE) E lo stesso era accaduto nella semifinale contro gli Usa, rognosi e queruli da risultare irritanti (e dire che in tribuna era venuto a vederli Lewis Hamilton, il futuro ferrarista molto amico del fiorettista Chamley-Watson), ma bloccati dalla voglia azzurra. In finale, però, serviva l’assalto perfetto, senza amnesie. E invece…
Partenza lenta E invece siamo partiti subito male, con Marini battuto 5-3 da Shikine. Un divario aumentato di un’altra stoccata con Imura, capace di battere (5-4) Bianchi. Serviva una reazione immediata: Macchi non si era fatto pregare, rifilando ben 7 stoccate (subendone 5) a Matsuyama. L’Italia c’era e passava in vantaggio grazie a Bianchi. L’attimo da cogliere era proprio questo, con i giapponesi in difficoltà. Marini ha provato ad allungare, siamo saliti a +3, illudendoci. Tenuto
il doppio vantaggio (25-23) ecco il primo sbandamento: Macchi subisce un pesante rovescio (3-7) da Imura, un rovescio che non intacca la sua classe cristallina (ha solo 22 anni), ma semmai fa capire quanto sia difficile a certi livelli restare sempre sul pezzo, specie dopo un’individuale costato preziose energie fisiche e mentali. A quel punto Cerioni ha deciso che sarebbe stato proprio Filippo a lasciare il posto a Foconi. Scelta dovuta, per dare la possibilità a chi si è allenato col gruppo, facendo gli stessi sacrifici, di prendere la medaglia: nella scherma chi resta a guardare non riceve nulla, ma una volta entrato non può più uscire. Lo stesso schema ha utilizzato il Giappone, mettendo dentro il loro quarto uomo: Nagano. Il destino della finale è passato dal loro fioretto.
Il cappotto Speravamo di avere noi l’asso giusto (il romano, 34 anni, è stato nel 2018 campione del mondo, non è un parvenu), ma a fare la differenza è stato Nagano, 25 anni, numero 29 del ranking. Si è fatto trovare prontissimo, rifilando un 5-0 all’Italia e mandando in soffitta i nostri sogni d’oro. Solo un miracolo di Marini avrebbe potuto ribaltare il
risultato, ma il Marini di ieri non era nelle vesti di San Tommaso. Ci resta l’argento nella notte parigina che chiude la bottega del (magnifico) Grand Palais. Ci resta l’argento è un rammarico: una vittoria avrebbe dato alla scherma azzurra il predominio nel medagliare. Peccato. Ma la missione è compiuta: dovevamo far dimenticare Tokyo (5 medaglie e nessun oro) e ci siamo riusciti grazie al trionfo (il più bello di tutta la rassegna) della squadra di spada femminile, allo spareggio contro la Francia padrona di casa. E poi si doveva ritrovare lo spirito di gruppo: il doppio argento nel fioretto a squadre, dimostra che il lavoro del ct Cerioni ha portato i suoi frutti. Ora ci saranno 4 anni prima di Los Angeles: ripartiamo da una base solida, campioni giovani (Macchi e Marini su tutti, ma pure lo stesso Bianchi) e la voglia di stupire ancora. Va bene la globalizzazione della scherma, ma noi siamo l’Italia: abbiamo tradizione, scuola, talenti e tecnici all’avanguardia. Ecco perché alla fine della fiera, anche con l’argento, il bicchiere è mezzo pieno.
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● Con l’argento della squadra maschile sono salite a 135 le medaglie vinte dall’Italia ai Giochi, confermando che la scherma è la nostra disciplina olimpica più vincente. Cinque le medaglie conquistate a Parigi, identico bottino, in termini numerici, dei precedenti Giochi di Tokyo, ma con un peso specifico maggiore visto che in Giappone non era arrivato nessun oro (non accadeva dal 1980). A Parigi il metallo più prezioso se lo sono aggiudicato le spadiste (Fiamingo, Navarra, Rizzi, Santuccio) battendo nella finale a squadre la
Francia.