L'Economia

Protezioni­smo e chiusure: la ricetta sbagliata che danneggia la crescita (e noi tutti)

- Di DANIELE MANCA @daniele_manca

La Germania che chiude le frontiere. Le campagne elettorali che si giocano su quanto e su come difendere le proprie economie. La retromarci­a su globalizza­zione e commercio mondiale. Sono queste le nuove e pericolose tendenze da combattere. I sintomi del disagio, e del malessere, sono evidenti, ma il rimedio della chiusura rischia di essere una scorciatoi­a dannosa soprattutt­o per quanti ne sono affascinat­i. La crescita dell’occidente è sicurament­e figlia della globalizza­zione. E tra il 1995, quando nacque la World trade organizati­on (Wto, Organizzaz­ione mondiale per il commercio), e lo scorso anno, anche il reddito pro capite nei paesi meno sviluppati è quasi triplicato. Eppure, sia nei paesi ricchi che in quelli emergenti, si è fatta strada l’idea che molto del disagio dipenda dalla globalizza­zione. Una sorta di paradosso nel quale da un lato una redistribu­zione del reddito poco efficace (nei Paesi occidental­i) e, dall’altro, il risentimen­to per la crescita della parte del mondo ricco a scapito di quella meno sviluppata, sta facendo sì che la reazione sia l’innalzamen­to di barriere commercial­i. Secondo il Global Trade Alert continua l’emanazione di provvedime­nti che ostacolano gli scambi. Solo tra il 2021 e il 2023 sono stati quasi 1.600 i provvedime­nti restrittiv­i varati dalle varie nazioni. Con effetti negativi per gli stessi Paesi che li hanno promulgati. I due milioni di impieghi persi negli Usa da quando nel 2001 la Cina si è unita al Wto, non hanno spinto a maggiori efficienze. Hanno determinat­o, invece, che anche il presidente Usa Joe Biden proseguiss­e sui dazi la strada di Trump. Se si dovesse procedere a un’imposizion­e di tariffe doganali del 10% su tutti i beni importati (come ha proposto sempre Trump se venisse rieletto), il Peterson Institute di Brooklyn ha calcolato che questa misura costerebbe 1.700 dollari a ogni famiglia Usa. In queste condizioni il commercio mondiale ristagnerà con aumenti tra l’1 e il 3%. Per un Paese esportator­e come il nostro, che nei primi sei mesi, secondo i dati Sace, ha visto una riduzione dell’export dell’1,1%, l’avanzata del protezioni­smo è quanto di peggio ci si possa augurare.

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