SUGAR TAX «RINVIO DI BUON SENSO»
Paolo Mascarino, presidente di Federalimentare: fosse stata introdotta avrebbe tradito le eccellenze alimentari italiane, con un abbassamento della qualità «Spero che la Ue favorisca il talento delle nostre imprese»
Presidente Mascarino l’accordo sul rinvio della sugar Tax al luglio del 2025 è soddisfacente? «Siamo molto soddisfatti. Il rinvio della sugar Tax è una vittoria del buon senso e della scienza contro l’ideologia. Se questa tassa - spiega Paolo Mascarino, presidente di Federalimentare - fosse stata introdotta avrebbe tradito la storica posizione italiana a livello internazionale contraria a policy nutrizionali discriminatorie, con algoritmi che classificano come “non sane” le nostre eccellenze alimentari e applicano tasse per disincentivarne il consumo».
Perché Federalimentare sostiene che la sugar tax avrebbe dato linfa ai fautori del Nutriscore e di altre misure discriminatorie verso il made in Italy?
«Perché alla base di queste tasse o all’introduzione di etichette nutrizionali semaforiche come il Nutriscore ci sono teorie prive di evidenze scientifiche che non hanno la finalità di aiutare la salute dei cittadini, ma di imporre un’omologazione al ribasso sulla qualità del cibo. Questa visione è un attacco diretto al nostro Made in Italy, alla dieta Mediterranea e in generale al nostro modo di produrre, trasformare e consumare cibo sano, sicuro, di qualità».
In dieci anni l’export è raddoppiato (da 26 miliardi a 52 miliardi nel 2023) e negli ultimi 20 anni l’industria alimentare è cresciuta del +31%. Il settore tiene a dispetto di pandemie, crisi energetiche e forti aumenti dell’inflazione?
«Il settore nel 2023 ha raggiunto 195 miliardi di fatturato di cui 53 miliardi di export. Due record, grazie ai nostri imprenditori che hanno assorbito gran parte degli aumenti delle materie prime dovuti all’inflazione senza ribaltarli tutti e subito sui prezzi. I primi mesi del 2024 ci fanno ben sperare».
Quali sono le leve per fare proseguire la crescita dell’export dell’industria alimentare?
«La priorità è investire nella ricerca e nell’innovazione per aumentare le produzioni agricole per le materie prime di qualità e correlate ai prodotti maggiormente esportati. Occorre inoltre rendere sicure le importazioni di materie prime, con modalità che stabilizzino, i prezzi rispetto alle fluttuazioni dei mercati. Infine, sarebbe opportuno ridurre la burocrazia all’export dei prodotti e garantirsi una logistica d’eccellenza orientata all’export ».
L’industria alimentare corre il rischio di vedere prevalere gli aspetti ambientali a danno della sostenibilità economica delle imprese?
«La legislatura europea ha dato questi segnali. Si è cercato di imporre una serie di normative che privilegiano gli aspetti ambientali a quelli sociali ed economici. La nostra preoccupazione è la creazione di norme comuni che fissano obiettivi senza lasciare alle imprese la libertà di decidere con quali mezzi e quali tecnologie raggiungere tali target. Al cuore del made in Italy alimentare c’è il principio strategico della distintività, e non quello dell’omologazione».
Ci aspettiamo una concorrenza leale, senza distorsioni indotte da etichette semaforiche o tasse che limitano le scelte
Dai nuovi «policy makers» europei cosa si aspetta?
«Una Ue che favorisse e non scoraggiasse il talento imprenditoriale del nostro comparto con iniziative legislative e regolatorie che, piuttosto che abilitare, sfavoriscono la competitività e ostacolano i processi di crescita. Ci aspettiamo, dunque, una concorrenza leale tra imprese sul mercato unico, senza distorsioni di mercato indotte da etichette semaforiche e tasse che non permettono libere scelte di acquisto».