ETHICA APRE IL CAPITALE AI MANAGER SAREMO AGGREGATORI DI BOUTIQUE
«Una piattaforma integrata di strumenti di investimento a cui possono aderire altri operatori». Nel futuro si valuta l’ipo
«A20 anni impegnatevi nello studio, a 25 anni iniziate a lavorare e fate errori. Dai 30 ai 40 focalizzatevi sulla professione, lavorate su voi stessi. Dai 40 ai 50 anni diventate semplicemente i più bravi in quello che già state facendo. Dai 50 ai 60 investite nei giovani, allevate talenti e trasferite informazioni».
Cosimo Vitola e Fausto Rinallo, soci fondatori di Ethica Group, i consigli di Jack Ma — fondatore di Alibaba — li hanno seguiti fino in fondo e oggi hanno deciso che è arrivato il momento di metterli in pratica, soprattutto nell’ultima parte. La loro Ethica Group — nata nel 2010 a Milano con il supporto di alcuni imprenditori amici — si prepara infatti a un primo, importante riassetto. «Dobbiamo pensare da qui ai prossimi 20 anni e costruire un campione nazionale», dice senza mezzi termini Vitola. Il gruppo finanziario si divide in due anime: Ethica Global Investments, holding stabile di partecipazioni industriali, partecipata da 60 famiglie imprenditoriali italiane, che ha sinora realizzato 13 tra acquisizioni e add-on ed una dismissione, raggiungendo i 200 milioni di ricavi aggregati nel 2023. E poi l’attività di Advisory con le divisioni M&A Advisory, Debt Advisory ed ECM Advisory, con 25 milioni di ricavi nel 2023. In totale il gruppo ha effettuato quasi 350 operazioni e oggi si prepara ad attuare un piano quinquennale di crescita e riassetto.
Il progetto
«Verranno create due sub-holding, una per l’advisory e una per gli investimenti. Al capitale della holding dell’advisory parteciperà il management team, attuale e prospettico, con quote crescenti nel tempo», spiega Vitola. «Intendiamo trasferire il controllo di quelle attività ai partner operativi che hanno una età media da 40 a 50 anni: un’ideale linea di partenza per creare la Ethica dei prossimi 20 anni. L’obiettivo è creare un gruppo leader sul mercato italiano nel mid-market da qui al 2028, raddoppiando i ricavi fino a 50 milioni e portando i professionisti che vi lavorano da 50 a 100».
«Ci piacerebbe condividere il nostro progetto con altre realtà indipendenti, più o meno grandi, che ne sposino la filosofia — aggiunge Rinallo —. Per certi versi ci poniamo come un catalizzatore tra le tante “boutique” di qualità che prima o poi dovranno affrontare il tema della dimensione in un mercato sempre più competitivo e dove la specializzazione diventerà un fattore sempre più importante. Pensiamo quindi che Ethica possa diventare una casa comune con tante competenze al proprio interno».
Per quanto riguarda invece l’attività di investimento, le strategie sono ancora più ambiziose e allargate ad un gruppo di imprenditori affini in termini di visione e valori. «Il progetto consiste nel promuovere una piattaforma integrata di strumenti di investimento nel capitale di rischio delle pmi che sia in grado di guidare il mercato italiano — rivela Vitola —. Infatti, nella sub-holding dedicata agli investimenti,
in prima battuta confluiranno le nostre attività di investimento, ovvero a oggi Ethica Global Investments, e poi andremo a coinvolgere altre iniziative di private equity, dei veri e propri compagni di viaggio, che costruiscano con noi una piattaforma che sia multi-servizio, multi-brand e multi-strategia, al cui interno potrantra no coesistere le diverse tipologie di raccolta già presenti ora sul mercato del private equity». Volgendo lo sguardo verso il mercato, si conferma la crescita che parte da lontano. «Attualmente il mercato italiano dell’m&a ha una dimensione di circa 1.200 operazioni straordinarie all’anno. Numero sostanzialmente uguale il 2022 e il 2023 nonostante un contesto macro sfavorevole. In confronto il mercato francese ha una dimensione ben superiore con circa 1.800-2.000 operazioni annue — ragiona Rinallo —. Per dare una idea del trend di fondo che caratterizza il mercato italiano, consideriamo che nel biennio 2012-2013 sono state realizzare meno di 400 operazioni all’anno». Il numero di operazioni si inserisce nella progressiva finanziarizzazione dell’economia reale che ha anche dei risvolti positivi. «È uno degli elementi che contribuisce a salvare il tessuto imprenditoriale italiano. Si può separare il destino di un’azienda da quello dell’imprenditore o dei soci. Si può attrarre management competente e dotare l’impresa di risorse per fare operazioni altrimenti impensabili che a loro volta potrebbero creare dei campioni. Scontato — con un piano di tale portata — che si creino le prospettive anche per una eventuale quotazione di successo «eventualmente per aiutarci a raccogliere del nuovo capitale, aggregare nuove realtà e lanciare nuovi progetti», chiosa Rinallo.
«In Italia si fanno 1.200 operazioni straordinarie l’anno, in Francia si arriva anche a 2.000. Ci sono spazi per crescere»