LA «COCA COLA» D’ALBANIA L’AVVENTURA (SOSTENIBILE) DI BUSI
La famiglia che con Sibeg ha portato l’iconica bevanda in Sicilia, festeggia con Ccbs i 30 anni di attività a Tirana. Ora le sfide green
«Quando siamo arrivati qui, nel 1994, l’albania era appena uscita da oltre 40 anni di dittatura comunista, la popolazione era smarrita, il Paese ripiegato su se stesso. Oggi siamo una delle principali realtà industriali e festeggiamo i 30 anni di presenza in un Paese che è cambiato molto da quando abbiamo imbottigliato la prima Coca Cola». Non è solo un’avventura imprenditoriale quella che racconta Luca Busi, ceo di Sibeg e presidente di CCBS, la società che imbottiglia e distribuisce i prodotti della Coca Cola Company in Albania, ma un viaggio - pieno di rischi -, attraverso la trasformazione di un Paese che oggi ha intrapreso una solida traiettoria di crescita.
Nel 1994 la vostra attività di imbottigliatori era concentrata in Romagna,
Marche e, come ancora oggi, in Sicilia con la Sibeg. Perché avete deciso di andare in Albania?
«Nel 1991 la Coca Cola Company aveva avviato la ricerca di un imbottigliatore capace di portare avanti le operazioni insieme a loro nei nuovi mercati che si stavano aprendo nei Balcani. Prendendo una decisione in famiglia, tra mia madre Cristina, mio zio e me, tutti e tre convinti di fare una scelta giusta, accettammo. Era il 1991 e ci abbiamo creduto sin dall’inizio. E, riconoscendo la nostra capacità di crescita, di innovazione continua, determinazione e percorso di sviluppo, Coca Cola Company ci diede fiducia. Non è un caso se dopo 30 anni siamo ancora qui e se in Italia la Sibeg sia tuttora l’unico imbottigliatore indipendente della Coca Cola rimasto».
Non deve essere stato facile…
«Nel 91 abbiamo fatto una prima ricognizione, incontrando anche il primo presidente Sali Berisha per parlare del nostro investimento, ma il Paese non era in grado di offrire il supporto per avviare un’attività industriale. L’albania era in enorme difficoltà, ma ci siamo subito innamorati della storia dell’albania e degli albanesi, della loro voglia di riscatto. All’inizio i problemi da superare sono stati moltissimi ma non abbiamo mai mollato. In due anni abbiamo messo in piedi la società e in 83 giorni costruito la fabbrica di Tirana in cui il 19 maggio del 1994 è partito l’imbottigliamento dei prodotti Coca Cola».
Quando avete avuto la certezza di avercela fatta?
«Quando siamo partiti avevamo l’obiettivo del pareggio operativo dopo tre anni e tutto stava andando in quella direzione. Ma nel ’97 scoppia la guerra civile e ci ritroviamo di nuovo in una situazione che non ci era mai capitata prima. Siamo rimasti lì, io e mia madre Cristina dormivamo nello stabilimento e lo abbiamo difeso insieme ai dipendenti dagli assalti, organizzando una sorveglianza armata 24 ore su 24. I saccheggi erano all’ordine del giorno. Quello di CCBS fu l’unico stabilimento a non fermare la produzione e ad essere sopravvissuto alla guerra civile. Una volta messa in sicurezza la fabbrica, riuscimmo a lasciare Tirana grazie al Battaglione San Marco che riuscì a evacuare noi e altri 60 imprenditori italiani che si erano rifugiati all’ambasciata italiana. Nel ’98 ci fu un altro grave problema, perché lo stabilimento andò a fuoco. Potevamo decidere di lasciare, invece promisi che lo avremmo ricostruito più bello ed efficiente di prima e lo abbiamo fatto. Nel frattempo rifornivamo l’albania dal nostro stabilimento Sibeg di Catania. Quando ti sei trovato a operare in queste condizioni, quando la situazione si normalizza il business diventa una cosa relativamente semplicominciando
ce».
Oggi com’è oggi il mercato?
«L’albania negli ultimi 5/10 anni ha subito una profonda trasformazione, l’economia che sta crescendo in modo solido e noi abbiamo vissuto da vicino e contribuito a questa trasformazione. Oggi molte imprese stanno investendo in Albania generando ricchezza e sta a crescere anche l’industria del turismo. Fattori positivi per noi. L’anno scorso abbiamo chiuso con 53 milioni di fatturato e una crescita del 14%».
CCBS che impatto ha avuto sulla trasformazione dell’albania?
«Negli anni siamo riusciti a far percepire una delle più grandi global company al mondo come un’azienda locale, a gestione familiare e a chilometro zero e questo ci viene riconosciuto sia dalle istituzioni sia dalle persone che ogni giorno ci scelgono. Prima che arrivasse CCBS la Coca Cola esisteva solo nell’immaginario degli albanesi. Nel ‘94 abbiamo fatto il più grande investimento straniero nel Paese e stiamo continuando a investire in innovazione e sostenibilità, seguendo lo stesso percorso adottato in Sicilia per Sibeg. La nostra fabbrica di Tirana dà lavoro a 393 dipendenti che salgono a 2.800 considerando l’indotto, ma il nostro impatto è molto più ampio: la ricchezza che generiamo in Albania raggiunge oltre 21 mila persone, secondo una ricerca che ha svolto la Sda Bocconi. Ogni settimana raggiungiamo con i nostri prodotti e le nostre persone oltre 18 mila punti vendita.
«Nel ‘97 la guerra civile, nel ‘98 va a fuoco l’impianto. Potevamo mollare, invece abbiamo continuato, rifornendo il Paese da Catania» «Ora il nostro obiettivo è diventare carbon neutral entro il 2030. Ma la partita più importante riguarda le persone»
Ma abbiamo una leadership riconosciuta non solo nell’imbottigliamento. CCBS è il principale riferimento nei piani di transizione verso la sostenibilità. Siamo un attivatore di innovazione».
Quali sono le prossime sfide?
«L’obiettivo è di diventare carbon neutral entro il 2030 e stiamo investendo molto per raggiungerlo. La fabbrica di Tirana ha ridotto del 65% l’acquisto di energia dalla rete per sostituirla con autoproduzione tramite fotovoltaico, abbiamo un ciclo di riutilizzo dell’acqua che proviene dalla sorgente presente nei terreni dello stabilimento, una flotta di 74 mezzi elettrici per la forza vendite e installato colonnine di ricarica. Per aumentare l’efficienza e ridurre l’impatto è stata appena installata nella fabbrica una nuova linea di produzione per le lattine a cui seguirà una nuova linea per il Pet e poi per il vetro. Ma la sfida più importante riguarda le nostre persone. Vogliamo far evolvere in modo importante il modo di lavorare, abbiamo creato un’organizzazione del lavoro più solida puntando a creare una vera cultura d’impresa fatta di coinvolgimento e condivisione, così da poterci muovere sempre con maggiore velocità».
Il bilancio di questi 30 anni di CCSB?
«Di strada ne abbiamo fatta tanta, spesso in salita e dovendo superare grandi difficoltà, ma il successo che ci viene riconosciuto anche con le celebrazioni pubbliche che ci saranno per il 30° anniversario, conferma che investire in Albania è la scelta giusta».