Dal protezionismo seri rischi per le fabbriche globali dei chip
La guerra commerciale e tecnologica tra Pechino e Washington crea problemi
« Le azioni restrittive del Governo » americano, « (…) specialmente alla luce delle attuali tensioni commerciali con la Cina (…) potranno » , in parte, « incidere negativamente sulla nostra capacità di vendere prodotti » , scrive nell’ultimo bilancio trimestrale il produttore integrato di semiconduttori Broadcom. Simili indicazioni, a ben vedere, non sono rare nelle relazioni di bilancio delle aziende occidentali del silicio. Certo! La legge richiede che i rischi siano comunicati al mercato. E, tuttavia, la loro ripetuta presenza mostra come il tema – la guerra commerciale e tecnologica tra Washington e Pechino – sia cruciale per il mondo dei semiconduttori. La disputa, avviata da tempo, è stata un susseguirsi di botte e risposte. Nel 2019, ad esempio, gli Usa hanno inserito il gigante Huawei nella Entity List e poi, nel 2020, vi hanno aggiunto il colosso cinese dei chip Smic. Successivamente, sempre Washington ha varato nel 2023 una serie di limitazioni all’export verso l’ex Regno di Mezzo delle tecnologie più avanzate nei semiconduttori. In particolare, quelle per l’Intelligenza artificiale ( il timore è che possano finire negli armamenti di Pechino). La reazione cinese non si è fatta attendere. Da un lato è arrivato il veto all’uso dei microchip della statunitense Micron; dall’altro c’è stato l’annuncio delle restrizioni all’export di germanio e gallio, due minerali essenziali per la produzione dei microprocessori. Così, nella più classica delle escalation ( cui si aggiungono notizie quali quella nel maggio scorso della creazione in Cina, in chiara risposta al Chip and Science Act statunitense del 2022, di un fondo da 47,5 miliardi di dollari per i microprocessori), il contesto industriale e commerciale si inasprisce. Tanto che aumentano i timori. Un esempio? Lo offre la dinamica proprio del germanio, di cui Pechino produce il 60% della fornitura mondiale. Nell’ultimo anno, a detta di Trading Economics, la quotazione è salita del 78,7%, con il prezzo del materiale in Europa di molto superiore a quello in Cina. Un contesto che evidentemente crea uno squilibrio – a svantaggio dei produttori occidentali – sul fronte degli oneri operativi. Non solo. Lo stesso approvvigionamento dei materiali essenziali nella fabbrica dei semiconduttori diventa complesso da gestire.
Al di là delle materie prime, un altro fronte che non fa dormire sonni tranquilli è quello dell’autarchia. Vale a dire: visto lo scontro geopolitico, in molti hanno pensato che la strada da seguire fosse quella di accorciare ( soprattutto geograficamente) la filiera produttiva. Le decine di miliardi messi sul tavolo, in
America ( 52 miliardi negli Usa con Chip act) e nell’ex Regno di Mezzo, per rafforzare e costruire ex novo impianti produttivi nelle proprie aree di influenza ne sono la prova. Sennonché, trasformare la più globalizzata delle industrie in un business locale è una chimera. Perlomeno, in poco tempo. La conferma? Arriva da Intel. Il gruppo Usa ha investito molto nelle nuove fabbriche. Esborsi miliardari, però senza ritorno immediato, che schiacciando i margini hanno deluso il mercato. Tanto che al Nasdaq la quotazione del gruppo nel 2024 è in calo del 61%
Già, la quotazione. A ben vedere i prezzi di mercato delle società dei chip, in generale, non scontano un altro rischio: l’escalation tra Usa e Cina per il controllo di Taiwan. L’isola di Formosa è la base produttiva principale di Tsmc. Vale a dire: la più grande fabbrica in conto terzi al mondo. Dai suoi “forni” passano i chip di tante big tech: da Nvidia fino ad Apple. Ebbene: se la situazione dovesse degenerare, parti importanti della filiera dei microprocessori andrebbero in tilt. Qui, certamente, conterà la volontà e capacità delle due parti di trovare una soluzione negoziale. Di conseguenza, gli occhi sono ora puntati sulle elezioni presidenziali statunitensi. Donald Trump, candidato repubblicano, con la sua dichiarazione che Formosa dovrebbe pagare gli Usa per la difesa dell’isola ha già fatto cadere ( almeno in Borsa) il settore. Kamala Harris, candidata democratica, dovrebbe dal canto suo non avere troppe soluzioni di continuità con la strategia di
Biden. Ma si sa: le indicazioni elettorali – spesso - lasciano il tempo che trovano.
Il forte rialzo dei prezzi di germanio e gallio, essenziali nei microchip, possono schiacciare i margini industriali
AUTARCHIA
L’obiettivo, in tempi brevi, di costruire fabbriche in aree “amiche” è difficile da concretizzare