CONTROLLI AL POSTO DELLO SCUDO ERARIALE
Con la sentenza 132/ 2024, la Corte costituzionale ha chiarito che lo scudo erariale – la norma, cioè, che esclude ogni responsabilità di chi abbia causato danni al patrimonio pubblico con condotte gravemente colpose – è legittimo solo se temporaneo: è lecito, quindi, attendersi che il legislatore metta fine alla sequela di norme che dal giugno 2020 ne hanno prorogato la vigenza fino alla fine di quest’anno.
Che si tratti di auspicio condiviso dalla stessa Corte emerge, implicitamente, dalle conclusioni della sentenza. Il giudice delle leggi si è, infatti, spinto fino al punto di suggerire al legislatore le coordinate per una nuova regolamentazione della responsabilità erariale che consenta, a suo avviso, di arginare la burocrazia difensiva: incremento delle funzioni di controllo della Corte dei conti e conseguente esenzione da responsabilità colposa per chi si adegui alle sue indicazioni; introduzione di un tetto al risarcimento del danno erariale; incentivazione alla stipula di polizze assicurative; esclusione di responsabilità colposa per specifiche categorie di pubblici dipendenti o per determinate tipologie di atti.
Dalla Consulta al legislatore
Tali proposte paiono somigliare a quelle contenute nel progetto di legge 1621, attualmente all’esame del Parlamento: si tratta, però, di una somiglianza solo superficiale. Qualche esempio può aiutare a capire meglio la differenza tra la decisione dei giudici costituzionali e la proposta di legge.
Il 1621 non si limita a prevedere l’incremento delle attuale funzioni di controllo ma immagina un controllo à la carte in cui ciascuna Regione o ente locale decide quali atti sottoporre all’esame preventivo della Corte dei conti, creando così un sistema “a macchia di leopardo” dove identici atti di distinti enti entrano in vigore in tempi e modi diversi, prevede l’esenzione di responsabilità anche per aspetti non espressamente sottoposti all’esame del giudice nonché la possibilità che la Corte dei conti renda pareri su fattispecie concrete, chiamando in tal modo la magistratura contabile ad assumere decisioni riservate agli amministratori eletti.
Ma a tali dubbi se ne aggiunge un altro: questa ennesima riforma funzionerà? Qualche risposta può arrivare dall’analisi delle vicende passate.
Gli interventi precedenti
Il primo intervento del legislatore teso a limitare gli spazi di responsabilità erariale risale al 1996, quando venne sancita la non risarcibilità dei danni ai beni pubblici posti in essere con colpa lieve. Negli anni successivi si è assistito non all’auspicato ridimensionamento dei giudizi di responsabilità erariale ma al loro aumento esponenziale, con l’ampliamento pretorio dei relativi presupposti soggettivi e oggettivi, cui ha finito con l’aderire lo stesso Legislatore normando il danno all’immagine della Pubblica amministrazione.
Per converso, a seguito sia della limitazione della responsabilità alla sola colpa grave del 1996, sia della totale esclusione della responsabilità commissiva per colpa del 2020 non si è registrata alcuna significativa accelerazione nell’azione amministrativa.
Come evitare che anche questo nuovo intervento divenga l’ennesima tappa di una estenuante rincorsa tra Achille e la tartaruga che va ormai avanti da trent’anni e che sta sempre più spostando l’ago della bilancia dal dovuto rispetto per la fatica dell’amministrare verso la tolleranza per la fuga dalla responsabilità?
Giova ricordare che l’intervento del 1996 consisteva in una modifica della legge 20 del 1994, che non solo aveva disciplinato puntualmente la responsabilità erariale ma aveva anche inciso sul controllo preventivo della Corte di conti, riducendone radicalmente gli ambiti e prevedendo una decisa cesura tra controllo e giurisdizione.
Probabilmente, una delle cause dell’aumento dei giudizi
La recente sentenza della Corte costituzionale riapre il tema della responsabilità
Nel Pdl 1621 controllo à la carte in cui l’ente decide quali atti sottoporre alla Corte dei conti
di responsabilità erariale è da ricercarsi proprio nel drastico ridimensionamento dell’attività di controllo, che ha fatto rifluire all’interno dei primi l’accertamento di quelle ipotesi di malfunzionamento della macchina amministrativa che non era più possibile intercettare in via preventiva.
La chiave interpretativa
Piuttosto che insistere sulla difficile strada della delimitazione dei presupposti della responsabilità erariale, occorrerebbe recuperarne la connotazione teleologica, in chiave eminentemente gestionale, che giustifica l’attribuzione di tale spazio giurisdizionale alla Corte dei conti. Si favorirebbe, così, una saldatura tra le due funzioni principali della medesima Corte, evitando che l’esercizio del controllo rivesta esclusivamente funzione di elemento scriminante della responsabilità per assurgere, al contrario, al ruolo di elemento costitutivo dei relativi presupposti soggettivi e oggettivi.
Per una simile riflessione occorre tempo ( e, probabilmente, una legge di delega) ma, con ogni probabilità, sarebbe tempo ben speso perché consentirebbe di rafforzare gli spazi di ausilio ed indirizzo all’azione amministrativa già presenti nella funzione di controllo, riservando al giudizio di responsabilità il compito di necessario momento di chiusura e salvaguardia della legittimità ed efficienza dell’intero sistema.