Autonomia, anche Sardegna e Toscana ricorrono direttamente alla Consulta
Le opposizioni tentano la via dell’impugnazione diretta per evitare il referendum
Le strade contro l’autonomia differenziata sono infinite. Proprio nel giorno in cui viene ufficialmente raggiunta sulla piattaforma online la quota delle 500mila firme necessarie per chiedere il referendum abrogativo della legge Calderoli ( l’obiettivo delle opposizioni resta un milione di firme entro la scadenza del 30 settembre), la Regione Sardegna guidata dalla pentastellata Alessandra Todde vara la delibera con cui impugna in via diretta la stessa legge davanti alla Corte costituzionale. E a stretto giro si unisce la Toscana guidata del dem Eugenio Giani, che per altro - al pari dell’Emilia Romagna, che al momento si tiene fuori per via della campagna elettorale in corso - aveva avviato una propria richiesta di autonomia differenziata durante il governo Conte 2.
Con la Puglia del dem Michele Emiliano, che ha approvato la delibera per prima nei giorni scorsi, arrivano così a tre le regioni che tentano la strada dell’impugnazione diretta: chiaro che il Pd e gli altri partiti di opposizione provano la scorciatoia della bocciatura da parte della Consulta per evitare il referendum, visto che la decisione sull’impugnazione arriverà entro l’anno mentre quella sull’ammissibilità dei due quesiti ( abolizione totale tramite la raccolta di firme e parziale con richiesta delle cinque regioni governate dal centrosinistra) è prevista per gennaio: nonostante la grande mobilitazione delle firme, infatti, il raggiungimento del quorum del 50% più uno degli aventi diritto al voto nell’eventuale consultazione nella primavera del 2025 resta un obiettivo ad altissimo rischio, se non impossibile.
A differenza della Puglia e della Toscana, tuttavia, la Sardegna è una regione a statuto speciale e dunque non può essere in via di principio contraria all’autonomia, che già ha, ma per così dire difende un privilegio che può essere leso dalla legge Calderoli: secondo l’esecutivo sardo « le disposizioni contenute nella legge sono irrimediabilmente in contrasto con molteplici norme della Costituzione e dello Statuto speciale della Regione Autonoma della Sardegna e, per l’effetto, risultano lesive della sfera di attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione Sardegna » . Da qui l’ironia del governatore leghista del Veneto Luca Zaia: « L’Italia osserva con perplessità la decisione della presidente di una regione a statuto speciale, che difende giustamente i propri privilegi, ma al contempo cerca di ostacolare i diritti sull’autonomia differenziata richiesti dal Veneto e da molte altre regioni a statuto ordinario. È una posizione incomprensibile per chi, come noi, ha lavorato seriamente per anni per arrivare a una riforma richiesta dai cittadini » .
Diverso il caso della Puglia e della Toscana: qui sotto attacco è l’interpretazione che la legge Calderoli fa del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione così come modificato nel 2001 con la riforma del Titolo V voluta dall’allora governo di centrosinistra, interpretazione che « condurrebbe alla violazione non solo dei principi fondamentali di unità e indivisibilità della Repubblica, ma anche dei principi di salvaguardia dell’autonomia territoriale e di favor per il decentramento amministrativo » . Insomma, prevedere la possibilità di trasferimento di tutte le 23 materie elencate nell’articolo 117 minerebbe l’unità nazionale e scatenerebbe una pericolosa “competizione” tra regioni. Per questa via ci si spinge anche a chiedere alla Corte, in via subordinata, di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dello stesso terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione da cui discende la legge Calderoli: una richiesta legittima, certo, ma chiedere alla Corte di cancellare una norma della Costituzione - si fa notare in ambienti di governo, e non solo - sarebbe una prima assoluta.