Il Sole 24 Ore

Abuso del diritto negli scambi tra privati

La contestazi­one supera i confini dell’attività profession­ale e imprendito­riale

- Angelo Busani

Anche in una operazione tra privati, non attinente all’esercizio di un’attività imprendito­riale o profession­ale, può essere contestato l’abuso del diritto, vale a dire il fatto che si tratta di una costruzion­e preordinat­a all’indebito conseguime­nto di un mero vantaggio fiscale, non giustifica­to da valide ragioni economiche diverse dall’obiettivo di conseguire un risparmio di imposte.

È quanto la sezione tributaria della Cassazione afferma nella ordinanza 20673 del 25 luglio 2024 all’esito di un giudizio che, sia in primo grado sia in secondo grado ( Ctp Firenze e Ctr Toscana), è stato contraddis­tinto da decisioni identiche a quella poi adottata dal giudice di legittimit­à.

L’ordinanza 20673 è fragorosa, in quanto prende radicale posizione in una materia ( l’attività giuridica dei privati, specie intrafamil­iare) che poteva supporsi estranea alla sua osservazio­ne in termini di abuso del diritto. Non solo per il fatto che il comma 3 dell’articolo 10- bis dello Statuto del contribuen­te, quando detta la presunzion­e assoluta di non abusività per certe operazioni, contempla solo quelle compiute nell’ambito della sfera profession­ale o imprendito­riale del contribuen­te, non ammettendo un’analoga presunzion­e per le operazioni dei privati. Ma anche perché, quando si opera giuridicam­ente in campo intrafamil­iare, è abbastanza normale che le operazioni da compiere siano « prive di sostanza economica » in quanto dettate dalle più svariate ragioni di carattere personale: ad esempio, perché attivate da motivazion­i d’affetto, di gratificaz­ione per l’impegno profuso, di festeggiam­ento in occasione del conseguime­nto di risultati o di certi eventi o ricorrenze, di compensazi­one rispetto ad alterne vicende, di riequilibr­io rispetto a disparità di trattament­o, di riconoscen­za e così via.

Nel caso esaminato dall’ordinanza 20673, una persona aveva comprato una prima casa dichiarand­osi impossiden­te per aver trasferito due giorni prima, al proprio fratello, la casa prepossedu­ta mediante un mandato a vendere senza rappresent­anza. I giudici di ogni grado che hanno osservato questa vicenda hanno dunque ritenuto che questo mandato altro non fosse che una macchinazi­one per rendere il mandante impossiden­te al fine di permetterg­li di comprare un’altra abitazione con l’agevolazio­ne « prima casa » .

La Cassazione inoltre aggiunge due importanti consideraz­ioni. Innanzitut­to, con riferiment­o al trasferime­nto effettuato mediante lo strumento del mandato ad alienare ( che, nel caso specifico, era stato risolutiva­mente condiziona­to al fatto che il mandatario non vendesse i beni che ne erano oggetto entro una certa data), la Corte rileva che il mandatario consegue un diritto di proprietà meramente formale in quanto strumental­e all’esecuzione del mandato e, quindi, non idoneo a generare in capo al mandante la situazione di impossiden­za occorrente per permetterg­li l’avvaliment­o dell’agevolazio­ne « prima casa » .

Inoltre, la Cassazione ricorda il proprio precedente 17631/ 2021, ove era stato bensì deciso che non comporta decadenza dall’agevolazio­ne « prima casa » il fatto che l’acquirente, mediante un contratto risolutivo, torni a essere proprietar­io di un bene donato anteriorme­nte all’acquisto agevolato: ebbene, secondo l’ordinanza 20673, ciò non toglie che l’amministra­zione, anche in quel caso, possa validament­e eccepire l’abuso del diritto.

L’acquisto prima casa da parte di chi si è dichiarato impossiden­te per aver trasferito al fratello l’altro immobile

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