Ricavi dell’industria frenati dal calo dei prezzi Lo scatto della cosmesi
Prometeia- Intesa Sanpaolo Primo quadrimestre a- 2,6% ma ben oltre il pre- Covid
Così come in passato era stato lo scatto dei listini a gonfiare i ricavi, ora per l’industria italiana accade in parte il fenomeno opposto. L’analisi dei settori industriali sviluppata da Prometeia e Intesa Sanpaolo nella newsletter di luglio evidenzia infatti per i primi quattro mesi dell’anno ricavi industriali in frenata del 2,6%, retromarcia legata soprattutto alla riduzione di oltre due punti dei prezzi alla produzione.
In valori correnti si resta comunque a ridosso del massimo storico, 22 punti oltre i livelli pre- Covid del corrispondente periodo 2019.
Ritocco verso il basso dei listini che coinvolge molti settori ( ora anche l’alimentare) ma che vede le frenate maggiori per i settori a monte, dunque metallurgia, intermedi chimici, prodotti in metallo, i primi a scattare verso l’alto nel 2022 per effetto dei rincari dei prezzi dell’energia.
Escludendo dal calcolo i prezzi, l’industria si trova in realtà in condizioni di quasi pareggio, in calo di soli quattro decimali rispetto al 2023, si tratta comunque di 5,6 punti oltre i livelli del 2019.
A guidare il ranking settoriale del fatturato deflazionato è il comparto del largo consumo, in progresso di oltre il 10%, per effetto in particolare della crescita della cosmesi, che continua a crescere sui mercati esteri non subendo il calo dei consumi visibile altrove.
Ad esempio nel sistema- moda, che vede ricavi reali in riduzione dell’ 8,5%, per via della debolezza della domanda nazionale ma anche di quella estera, frenata ben visibile in termini distrettuali ad esempio nella riduzione dell’export del primo trimestre della pelletteria made in Firenze, in frenata di oltre il 23% nel primo trimestre 2024 rispetto allo stesso periodo del 2023, peggior distretto nazionale in termini di riduzione delle vendite in valore assoluto.
Se il presente della manifattura è in bilico, attorno alla parità, segnali di incertezza arrivano anche dagli indicatori prospettici, che al momento forniscono indicazioni contrastanti sull’evoluzione dei prossimi mesi, con la fiducia delle imprese manifatturiere in retromarcia: per trovare un dato peggiore si deve tornare a novembre 2020. I consumi nazionali sono invece attesi in ripresa moderata nel secondo semestre, per effetto di un progressivo rientro dell’inflazione ma anche della forza del mercato del lavoro, che tende a favorire il recupero del potere d’acquisto.
Capacità di spesa che potrà trovare margini aggiuntivi anche per effetto della discesa dei tassi di interesse, che dal lato delle imprese tenderà ad aumentare le decisioni di investimento delle imprese in beni strumentali, ambito che peraltro potrà ricevere
Dall’analisi dei bilanci si conferma il percorso di miglioramento in atto su marginalità e patrimonializzazione
una spinta importante dalla definizione ( infine) delle regole operative delle incentivazioni di Transizione 5.0.
Scenario di incertezza che resta evidente comunque anche allargando lo sguardo al di fuori dei nostri confini. L’export di beni manufatti finora offre segnali di tenuta, con una crescita del 2% tra gennaio e aprile a prezzi costanti, grazie in particolare alla spinta degli Stati Uniti.
Lo scenario della seconda metà dell’anno - sottolineano gli analisti nella newsletter - resta però costellato di rischi al ribasso sulla crescita. Rischi legati al persistere di tensioni geopolitiche ma più in generale al clima di incertezza che caratterizza il ciclo economico mondiale, partendo da Stati Uniti e Cina.
Il freno maggiore alle nostre vendite estere è però al momento rappresentato dalla debolezza della Germania, nostro primo mercato di sbocco, che ha visto tra gennaio e maggio un calo di oltre cinque punti della produzione manifatturiera. La sua graduale ripresa è lo scenario ipotizzato, con effetti positivi sulle nostre vendite estere che però saranno maggiormente visibili dal prossimo anno.
Dall’analisi dei bilanci effettuata ( legata però al 2022) emerge infine una conferma dei miglioramenti significativi delle aziende italiane, con livelli di margini, redditività e patrimonializzazione che vanno a convergere con gli omologhi sistemi manifatturieri di Germania, Francia e Spagna.