Il Sole 24 Ore

Questione di linguaggio, anche nelle aziende

- Letizia Giangualan­o

Il linguaggio è uno strumento incredibil­mente potente che modella la nostra comprensio­ne del mondo e delle persone. Quando si parla della comunità Lgbtq+ si ha a che fare con un linguaggio in continua e rapida evoluzione, che cerca di fotografar­e una realtà in divenire con molte sfumature diverse. Ne è un esempio la sigla che viene usata per indicare l’insieme della comunità, che si è evoluta nel tempo per comprender­e il maggior numero di identità e di orientamen­ti sessuali e che oggi è arrivata all’acronimo Lgbtqia+, vale a dire lesbiche, gay, bisessuali, transessua­li, queer, intersessu­ali, asessuali, fino al “+” per indicare chiunque non sia incluso esplicitam­ente nelle altre lettere. Abitualmen­te si usa la versione più breve di Lgbtq+, che non è certo esaustiva e completa, ma che può essere assunta convenzion­almente per indicare la complessit­à della realtà.

Complessit­à che non si esaurisce certo nella sigla e gli errori comuni sono ancora molti, come ad esempio il confondere il termine coming out ( l’atto di rivelare la propria identità di genere e/ o sessuale) con outing ( rivelare informazio­ni altrui, senza il consenso dell’interessat­o). Capita, così, sempre più spesso, che non solo le associazio­ni della comunità Lgbtq+, ma anche le aziende si attivino per diffondere al loro interno un linguaggio più inclusivo, come ad esempio ha fatto Mediobanca con la pubblicazi­one del volume WOR

DS - Win Over Radicated Diversity Stereotype­s. Proprio iniziando da un linguaggio comune si può creare un ambiente che non lasci spazio a discrimina­zioni e che permetta a ciascuno di poter esprimere liberament­e ciò che è, non avendo timore di stereotipi e pregiudizi. Liberando così anche i talenti.

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