Autonomia, opposizioni già in pista per le firme ma c’è lo scoglio quorum
Raggiunto solo una volta in 30 anni, e l’astensione è maggiore proprio al Sud
La macchina della raccolta firme per il referendum abrogativo del Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata è già partita: Pd, M5s, Avs, Più Europa e financo i centristi di Carlo Calenda e Matteo Renzi, evidentemente in cerca di una ricollocazione nel campo del centrosinistra dopo il flop alle europee dell’ 8 e 9 giugno ( entrambe le liste sono rimaste sotto la soglia del 4%). L’alternativa sarebbe la richiesta di almeno cinque Regioni, ma dalle cinque amministrate dal centrosinistra bisogna sottrarre l’Emilia- Romagna: Stefano Bonaccini, eletto a Strasburgo, si dimetterà la prossima settimana e da quel momento il consiglio resterà in carica solo per l’ordinaria amministrazione. Non resta che la strada delle firme, dunque: se le 500mila previste dalla legge verranno depositate in Cassazione entro il 30 settembre prossimo la consultazione popolare si potrà tenere tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2025, probabilmente assieme ai quesiti sul Jobs act. Tutti contro, dunque, con l’aiuto della macchina organizzativa della Cgil. Ma con quali probabilità di successo?
Il primo dato da tenere a mente è che il referendum abrogativo, a differenza di quello confermativo previsto per le riforme costituzionali, prevede il quorum del 50% più uno degli elettori per essere valido. E negli ultimi 30 anni il quorum non si è raggiunto per ben 6 volte: l’unica è stata il 12 e 13 giugno del 2011 ( una delle poche volte in cui si è votato due giorni per un referendum) con i referendum su beni pubblici e nucleare. Prima ancora il quorum era stato raggiunto appunto 30 anni fa, nel 1995, con i referendum anti- Berlusconi sulle concessioni televisive per altro persi dai proponenti. In un periodo storico in cui l’affluenza alle urne continua a scendere, con lo storico 49,6% registrato alle europee, secondo gli esperti il raggiungimento del quorum è una missione pressoché impossibile. Anche perché i più contrari all’autonomia differenziata sono naturalmente i cittadini del Sud e delle Isole, che temono l’accentuazione delle sperequazioni territoriali. Secondo un recente sondaggio effettuato per Repubblica da Antonio Noto al Nord prevalgono i favorevoli ma di poco ( 42% favorevoli, 35% contrari, il resto non si esprime), mentre al Sud prevalgono di molto i contrari ( 57% contro e solo 25% a favore). Insomma, per abrogare il Ddl Calderoli dovrebbero andare a votare in massa i meridionali. Che però sono storicamente refrattari alle urne, come hanno confermato le europee: in Sardegna e in Sicilia, ad esempio, si è registrato un tasso di partecipazione inferiore al 40%, mentre in Calabria è appena superato il 40% e in Basilicata, Puglia e Campania l’affluenza si è attestata intorno al 43%.
Un azzardo per il centrosinistra, insomma. E anche se la premier Giorgia Meloni decidesse di non puntare sul non raggiungimento del quorum, accogliendo la richiesta di accorpamento con le regionali, il quadro non sarebbe molto più favorevole ai proponenti: nel 2025 andranno sì al voto regioni “anti” come la Campania e la Puglia, ma si voterà anche nel popoloso Veneto, i cui cittadini sono più inclini a recarsi ai seggi e più favorevoli all’autonomia differenziata. Anche per questo nel centrosinistra si sta pensando di provare la strada parallela di un ricorso diretto alla Consulta, come evocato ieri dal governatore pugliese Michele Emiliano.