Partner Ue ambivalenti su Roma ma emarginarla non conviene
La cena di lunedì ha lasciato strascichi, tra la simpatia di alcuni e il cinismo di altri
La cena tra i capi di Stato e di governo che si è tenuta lunedì scorso qui a Bruxelles ha lasciato inevitabili strascichi. Il mancato accordo sulle cariche per il prossimo quinquennio e lo stesso disappunto della premier Giorgia Meloni per il modo in cui si è svolta la riunione non hanno lasciato indifferenti. Nei confronti dell’Italia, ci sono sentimenti ambigui: comprensione a livello personale, cinismo sul piano politico, paura di una eventuale radicalizzazione delle posizioni italiane.
Riepiloghiamo i fatti. La riunione di lunedì sera è stata segnata dal tentativo dei dirigenti provenienti dai tre partiti centristi – popolare, socialista e liberale – di decidere ex ante le principali cariche comunitarie: alla popolare tedesca Ursula von der Leyen la presidenza della Commissione, al socialista portoghese António Costa la presidenza del Consiglio europeo, alla liberale estone Kaja Kallas la nomina ad Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza.
Il negoziato a sei – due leader per ciascun partito – ha costretto una buona parte del Consiglio europeo ad aspettare per due ore l’inizio formale dei lavori. Conosciamo il disagio espresso dalla premier Meloni, estromessa perché il suo partito, Fratelli d’Italia, non appartiene alla coalizione che dovrebbe sostenere la prossima Commissione ( siede tra i conservatori dell’ECR). Spiega un funzionario europeo presente nella sala: « L’effetto ottico non è stato obiettivamente dei migliori » .
In questi mesi, molti dirigenti hanno apprezzato lo spirito « costruttivo » della premier italiana ( al netto della mancata ratifica del nuovo trattato relativo al Meccanismo europeo di Stabilità). I meno ottimisti temono che l’incidente possa portare a una radicalizzazione delle posizioni italiane. Gli sconvolgimenti sulla scena europea fanno temere un avvicinamento tra Giorgia Meloni e Marine Le Pen, tanto più che in questi giorni il gruppo conservatore ha attratto nuovi deputati di vari Paesi.
Dietro alla scelta dei partiti di negoziare ex ante le nomine c’era il desiderio di chiudere la partita velocemente. Dopotutto il voto europeo ha dato loro una maggioranza. « Un atteggiamento comprensibile – spiega un altro funzionario europeo –. Alcuni osservatori però hanno avuto la sensazione che dietro alla decisione di lasciare fuori dalla sala la premier italiana ci fosse anche molta politique politicienne”, ossia la volontà di isolare platealmente un partito che è controverso in molti Paesi membri.
Al tempo stesso, e a ben guardare, la situazione in cui si è trovata la presidente del Consiglio riflette la realtà delle cose. La prossima coalizione dipenderà presumibilmente dai popolari, i socialisti e i liberali. I conservatori di Fratelli d’Italia non sono previsti: anche se è probabile che alcuni ( molti?) deputati vi faranno parte ufficiosamente, almeno in alcune circostanze. Tradizionalmente, più che i Paesi membri sono le affiliazioni politiche ad avere un ruolo cruciale al momento delle nomine.
A Bruxelles c’è il desiderio di ritrovare un clima più istituzionale, e meno partitico, e sancire nel summit del 27- 28 giugno un accordo sulle prossime cariche. A nessuno conviene emarginare l’Italia. Il Paese è troppo grande per tralasciare il suo peso parlamentare o peggio rischiare una sua radicalizzazione. C’è addirittura chi ricorda quanto diceva volgarmente il leader americano Lyndon Johnson: “Meglio avere i nemici dentro la tenda che pisciano fuori, piuttosto che fuori dalla tenda che pisciano dentro”.
‘ Fdi ( con Ecr) potrebbe non essere nella futura maggioranza, ma l’Italia è troppo grande per tralasciare il suo peso