L’intelligenza artificiale è l’alleata dei manager sull’organizzazione
Secondo una ricerca internazionale della WEC ( di cui Manpower è parte) per il 92% dei dirigenti alle imprese serviranno persone più flessibili
Disorientati tra la necessaria verticalità delle competenze e la strategica orizzontalità delle relazioni professionali, ma anche ottimistici per ciò che potrà riservare il futuro: è in questo equilibrio che si dipana il bandolo dell’intrecciata matassa che coinvolge il mondo del lavoro quando incontra la forza propulsiva e scalabile dell’intelligenza artificiale generativa. In fondo l’AI affascina, ma disorienta. È quanto emerge dalla ricerca internazionale “The Work We Want” realizzata da World Employment Confederation di cui ManpowerGroup è partner. La fotografia, presentata in anteprima sul Sole24Ore, è stata scattata ascoltando manager di 680 realtà Forbes Global 2000 e 35 organizzazioni del settore pubblico. Tutti i dati verranno illustrati domani nel corso dell’annual conference The Exchange promossa da ManpowerGroup e in programma al Superstudio Più di via Tortona a Milano. L’analisi del sentiment parla chiaro: il 72% dei senior leader crede fermamente nell’impatto positivo dell’intelligenza artificiale sulle performance del business e il 69% si dichiara fiducioso circa l’adozione di queste tecnologie, molto più della forza lavoro che registra un sentiment positivo fermo al 57%.
In generale si ricerca una flessibilità di approccio che spesso stride con una mancanza di velocità nei processi aziendali, anche legati al recruiting e alle strategie di reskilling. « L’AI è una potente alleata per le aziende perché accresce le capacità umane piuttosto che sostituirle. Ma per sfruttarne appieno il potenziale saranno necessarie nuove competenze e nuovi modi di svolgere il lavoro. Nonostante questa consapevolezza la maggioranza dei responsabili d’azienda teme di non riuscire a formare i dipendenti abbastanza velocemente per stare al passo con gli sviluppi tecnologici dei prossimi tre anni » , afferma Daniela Caputo, Direttrice Sales, Marketing e Innovation ManpowerGroup Italia. Una parte dello studio è sulla flessibilità in un mondo che cambia assai velocemente. Il capitolo prende il nome di “Agile talent in the age of AI” e illustra come l’intelligenza artificiale generativa rimodellerà radicalmente la forza lavoro, richiedendo competenze tecniche e trasversali per mettere in atto il potenziale offerto dalla tecnologia. Lo raccontano anche i numeri: oggi 8 manager su 10 ritengono che i progressi dell’intelligenza artificiale richiederanno nuovi approcci. Ma non è mai stato così difficile pianificare il fabbisogno futuro di talenti: il 92% sostiene che nei prossimi due anni avrà necessità di una forza lavoro più flessibile.
La preoccupazione è diffusa e riguarda la velocità del sistema e la difficoltà a essere agili. « Le organizzazioni hanno una visione ancora limitata del potenziale dell’AI in termini di impatto sulle professioni necessarie e sui posti di lavoro creati. Poiché i modelli di business continuano a evolvere attraverso le nuove tecnologie bisogna ripensare le strategie riguardanti il talento. In questo contesto ricopre un ruolo fondamentale l’agilità aziendale, intesa come capacità delle organizzazioni di adattarsi al nuovo mondo e di reimpiegare i lavoratori nei ruoli del futuro » , precisa Caputo. Le organizzazioni ricorreranno a un’ampia gamma di strategie per costruire questa flessibilità: creazione di pool settoriali ( 91%), approccio alle assunzioni basato sulle competenze ( 89%), utilizzo di piattaofferta di maggiore flessibilità interna, assunzione di talenti dall’estero ( 88%). « Aziende e governi dovranno sperimentare metodi innovativi per porre le persone al centro della progettazione e dell’implementazione dei sistemi di AI con approcci che integrano direttamente le esigenze, le capacità, le competenze e il benessere dei lavoratori » , conclude Caputo. Ancora una volta la partita si sposta dalle tecnologie ai processi che ne permettono l’implementazione e la corretta diffusione.