La traiettoria della spesa è ancora tutta da vedere
Le riforme e gli investimenti – si legge nel Def – non sono solo funzionali al Pnrr ma « costituiranno anche l’ossatura del futuro Piano di Bilancio a medio termine » . Si tratta nelle intenzioni del Governo di due percorsi che dovranno procedere in parallelo: da un lato l’attuazione del Pnrr tenendo conto della sua scadenza fissata al 2026, dall’altro il piano settennale con al centro il nuovo criterio della spesa corrente primaria che sarà presentato a settembre in cui si darà conto del tragitto di aggiustamento strutturale richiesto dalle nuove regole di governance europee.
Il problema – come si ammette esplicitamente nella sezione III del Pnrr dedicato al programma nazionale di riforma – è che le riforme, se attuate e monitorate nel tempo, hanno effetti sul Pil potenziale nel lungo termine.
La stima contenuta nel Def è che si possa avere un incremento del Pil del 5,6% nel 2030 e di circa il 10% nel lungo periodo ( 2050). Tra le riforme sarebbero le politiche attive del mercato del lavoro « ad avere gli impatti maggiori sul Pil » . Il tutto a fronte di una previsione di incremento del 3,4% del Pil legato nel 2026 alla piena attuazione del Pnrr rispetto allo scenario base, e – come documentato dal Sole24Ore il 19 aprile scorso – di ben lo 0,9% ( di fatto gran parte della crescita stimata nell’ 1%) nell’anno in corso.
Ma sul versante delle riforme siamo in ritardo, come non manca di rilevare la Commissione europea nelle sue raccomandazioni, con il conseguente ridotto apporto di questa fondamentale componente alla crescita e per questa via alla riduzione del debito. E sul fronte del Pnrr, rispetto ai 102,5 miliardi già ricevuti ( pari al 52,7% delle risorse) risultano spesi 42 miliardi ( il 22%). Con la procedura di infrazione per disavanzo eccessivo in arrivo a giugno e soprattutto in vista della manovra per il 2025 che parte già con un bagaglio di 20 miliardi di misure da rifinanziare, occorrerebbe avviare un programma di revisione della spesa decisamente più ambizioso di quello messo in atto finora. Come segnala lo stesso Def il Governo ha fissato gli obiettivi di risparmio per ciascuno degli anni del triennio 2024- 2026 in termini di indebitamento netto nella misura di 300 milioni nel 2024, 500 milioni nel 2025 e 700 milioni dal 2026. Riduzioni di spesa che si aggiungono a quanto già previsto con la precedente legge di bilancio, « portando la riduzione complessiva a 1,5 miliardi nel 2024, 2 miliardi nel 2025 e 2,2 miliardi a partire dal 2026 » . E bisognerebbe finalmente – come suggerisce anche il Fmi – mettere mano alla revisione delle “tax expenditures”. Lo segnala l’Ufficio parlamentare di Bilancio: tra il 2018 e il 2024 il numero delle agevolazioni è cresciuto di un terzo, passando da 466 a 625 e la perdita di gettito complessiva è raddoppiata, da 54 a 105 miliardi. Sono aumentati in particolare i regimi speciali e le esenzioni ed è stato eccezionale l’incremento dei crediti di imposta ( in particolare quelli legati ai lavori edilizi). A ciò si è aggiunto il maggior ricorso a forme specifiche di esenzione quale il welfare aziendale.
In tutti gli anni considerati l’Irpef è l’imposta con la maggiore concentrazione di agevolazioni: per il 2024 conta 200 voci ( circa il 32% del totale), alle quali si sommano altre 59 voci i cui effetti si esplicano anche su altre imposte. Nel totale l’Irpef registra un aumento delle agevolazioni del 65 per cento. Quanto al nuovo Patto di stabilità, con il via libera, l’ultimo della serie, dei ministri europei riuniti nel Consiglio Ue Agricoltura si è chiuso il lungo di iter di approvazione e si passa ora alla fase operativa.
Sarebbe quanto mai opportuno che in casa nostra ci si chiarisca le idee. Se da un lato, pur senza particolari entusiasmi, il Governo si è espresso a favore delle nuove regole nella riunione decisiva del Consiglio Ecofin tenutasi il 20 dicembre dello scorso anno ( decisione confermata due giorni fa) la maggioranza che lo sostiene ( e anche il Pd) non è andata oltre l’astensione nella votazione al Parlamento europeo del 23 aprile. Per una volta – ha ironizzato il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni “abbiamo unito la politica italiana”. Anche in vista dei prossimi appuntamenti europei, dalla definizione della “traiettoria” per la spesa, passando dalla procedura di infrazione per finire con il Piano pluriennale da presentare a settembre, lo scollamento andrebbe sanato.