Tre indici di illiceità da valutare per evitare pericolosi passi falsi
L’appalto è un contratto fondamentale per produrre beni e servizi in un’economia moderna, ma è anche complicato da maneggiare: bastano pochi errori di impostazione o di gestione del personale e si scivola dentro il campo, pieno di insidie e di sanzioni - non solo quelle fiscali di cui si parla nell’articolo a fianco, ma anche amministrative e penali - dell’appalto illecito. Per capire i termini in cui si articola questo rischio, bisogna partire dalla nozione di appalto del Codice civile ( articolo 1655): secondo il Codice, mediante l’appalto, un’impresa si obbliga, con organizzazione, rischio e mezzi propri, a realizzare un’opera o fornire un servizio a un committente.
I problemi nascono quando l’appalto assolve la funzione, indebita, di garantire un “prestito di personale” al committente, o quando viene utilizzato per spostare su terzi le responsabilità connesse ai rapporti di lavoro diretti.
Ma non sempre l’illecito è frutto della volontà di aggirare le regole: ci sono tante zone grigie, dove il perimetro di quello che si può fare e non si può fare è poco nitido, e il rischio di commettere passi falsi è alto anche senza una specifica finalità fraudolenta.
Per capire bene dove si colloca il confine dell’appalto lecito, è utile ricordare gli elementi che la giurisprudenza ha elaborato a tal fine: gli “indici” di illiceità del contratto.
Il primo di questi indici è l’assenza del “rischio d’impresa”: chi agisce come appaltatore deve essere una vera impresa, che opera per ottenere un profitto, segue un piano imprenditoriale che non si riduca al semplice ribaltamento dei costi del personale coinvolto nell’appalto e, quindi, affronta anche la possibilità di insuccesso economico. Una situazione tipica di carenza del rischio imprenditoriale si verifica nel caso in cui il costo dell’opera o del servizio sia interamente commisurato alle ore o alle giornate di lavoro dei dipendenti dell’impresa appaltatrice: una situazione che, secondo la giurisprudenza, non è compatibile con l’appalto lecito.
Un altro indice dell’appalto illecito è la mancanza di una reale organizzazione imprenditoriale: l’appaltatore deve avere una esperienza concreta nelle attività appaltate, disporre di personale e avere la disponibilità dei mezzi per compiere l’opera o il servizio .
Un terzo elemento fondamentale per riconoscere un appalto illecito è la carenza di autonomia organizzativa: il personale dell’appaltatore non può rispondere alle direttive del committente ma, piuttosto, deve essere gestito direttamente dal datore di lavoro, unico soggetto deputato a organizzare il personale nel modo migliore per produrre il risultato previsto dal contratto. Se il committente non si limita a esigere l’esecuzione del contratto ma organizza, anche nei dettagli esecutivi, l’attività del personale dell’impresa appaltatrice, è probabile che il rapporto si collochi al di fuori dei confini dell’appalto lecito.
Le incertezze applicative si possono ridurre in via preventiva mediante la “certificazione” del contratto presso una delle commissioni istituite dalla legge Biagi, ma non basta: anche la concreta gestione del rapporto deve essere coerente con le clausole scritte nel contratto.
‘ L’appalto non deve portare a un prestito di personale o spostare responsabilità sui lavoratori
‘ Le incertezze applicative riducibili certificando il contratto come previsto dalla legge Biagi