Il Sole 24 Ore

Tre indici di illiceità da valutare per evitare pericolosi passi falsi

- — Giampiero Falasca

L’appalto è un contratto fondamenta­le per produrre beni e servizi in un’economia moderna, ma è anche complicato da maneggiare: bastano pochi errori di impostazio­ne o di gestione del personale e si scivola dentro il campo, pieno di insidie e di sanzioni - non solo quelle fiscali di cui si parla nell’articolo a fianco, ma anche amministra­tive e penali - dell’appalto illecito. Per capire i termini in cui si articola questo rischio, bisogna partire dalla nozione di appalto del Codice civile ( articolo 1655): secondo il Codice, mediante l’appalto, un’impresa si obbliga, con organizzaz­ione, rischio e mezzi propri, a realizzare un’opera o fornire un servizio a un committent­e.

I problemi nascono quando l’appalto assolve la funzione, indebita, di garantire un “prestito di personale” al committent­e, o quando viene utilizzato per spostare su terzi le responsabi­lità connesse ai rapporti di lavoro diretti.

Ma non sempre l’illecito è frutto della volontà di aggirare le regole: ci sono tante zone grigie, dove il perimetro di quello che si può fare e non si può fare è poco nitido, e il rischio di commettere passi falsi è alto anche senza una specifica finalità fraudolent­a.

Per capire bene dove si colloca il confine dell’appalto lecito, è utile ricordare gli elementi che la giurisprud­enza ha elaborato a tal fine: gli “indici” di illiceità del contratto.

Il primo di questi indici è l’assenza del “rischio d’impresa”: chi agisce come appaltator­e deve essere una vera impresa, che opera per ottenere un profitto, segue un piano imprendito­riale che non si riduca al semplice ribaltamen­to dei costi del personale coinvolto nell’appalto e, quindi, affronta anche la possibilit­à di insuccesso economico. Una situazione tipica di carenza del rischio imprendito­riale si verifica nel caso in cui il costo dell’opera o del servizio sia interament­e commisurat­o alle ore o alle giornate di lavoro dei dipendenti dell’impresa appaltatri­ce: una situazione che, secondo la giurisprud­enza, non è compatibil­e con l’appalto lecito.

Un altro indice dell’appalto illecito è la mancanza di una reale organizzaz­ione imprendito­riale: l’appaltator­e deve avere una esperienza concreta nelle attività appaltate, disporre di personale e avere la disponibil­ità dei mezzi per compiere l’opera o il servizio .

Un terzo elemento fondamenta­le per riconoscer­e un appalto illecito è la carenza di autonomia organizzat­iva: il personale dell’appaltator­e non può rispondere alle direttive del committent­e ma, piuttosto, deve essere gestito direttamen­te dal datore di lavoro, unico soggetto deputato a organizzar­e il personale nel modo migliore per produrre il risultato previsto dal contratto. Se il committent­e non si limita a esigere l’esecuzione del contratto ma organizza, anche nei dettagli esecutivi, l’attività del personale dell’impresa appaltatri­ce, è probabile che il rapporto si collochi al di fuori dei confini dell’appalto lecito.

Le incertezze applicativ­e si possono ridurre in via preventiva mediante la “certificaz­ione” del contratto presso una delle commission­i istituite dalla legge Biagi, ma non basta: anche la concreta gestione del rapporto deve essere coerente con le clausole scritte nel contratto.

‘ L’appalto non deve portare a un prestito di personale o spostare responsabi­lità sui lavoratori

‘ Le incertezze applicativ­e riducibili certifican­do il contratto come previsto dalla legge Biagi

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