La nazionalizzazione dell’Ariston parla ai sudditi russi
La “nazionalizzazione temporanea” dell’Ariston da parte delle autorità russe, nella sua paradossale formulazione, può essere interpretata in prima istanza come contromossa putiniana all’iniziativa occidentale di bloccare gli assets degli oligarchi russi. Tuttavia considerare il sequestro degli impianti russi dell’Ariston solo alla luce delle relazioni internazionali sarebbe una semplificazione rispetto ai cambiamenti strutturali che la guerra ha accelerato, ma che erano già ben avviati prima del deflagrare del conflitto in Ucraina.
Con la crisi finanziaria del 2008 viene meno la condizione essenziale per lo sviluppo di quella globalizzazione – avviata proprio dopo la caduta dell’Unione Sovietica – che permetteva di aprire impianti di produzione nei Paesi che si aprivano alla nuova economia capitalistica, fidando nella crescita della loro domanda interna. Questa scelta richiedeva tuttavia stabilità politica ed economica di lungo periodo, per rendere possibili e remunerativi gli investimenti in catene del valore estese a mezzo mondo. Questa prospettiva aveva del resto permesso all’Europa di accelerare la sua crescita, allargandosi ai Paesi già appartenenti al Patto di Varsavia e creando una moneta unica, l’euro, che rafforzandosi agevolava gli investimenti esteri.
Base di questo scenario era la centralità della nuova Germania, unificata dopo essere stata la frontiera fra due mondi nemici. La forza del marco tedesco diveniva il fondamento della nuova moneta europea e la base di una crescita centrata su un asse Est- Ovest, che aveva proprio in Berlino il suo perno vitale. Questo asse Est- Ovest si incentrava sul presupposto che l’accordo con la Russia avrebbe garantito energia a basso costo ed aperto mercati in sicura espansione, sostenuti del resto dalla presenza delle imprese europee e dalla forza della nuova moneta unica.
Quel disegno si spense con la crisi finanziaria del 2008, nata nel settore immobiliare negli Stati Uniti ma rapidamente estesasi a livello globale. Tuttavia, mentre sia negli Stati Uniti che in Cina la crisi venne rapidamente superata scegliendo senza remore di investire tutto il potenziale finanziario e tecnologico sulla nuova economia digitale, in Europa per inseguire vecchi sovranismi ci si è condannati alla stagnazione perpetua.
D’altra parte la Russia non ha mantenuto la sua promessa di sviluppo: consegnando la propria economia ad un numero ristrettissimo di oligarchi, che hanno accresciuto a dismisura la loro ricchezza personale impossessandosi delle imprese statali, l’immensa Federazione Russa è rimasta una piccola economia basata sulla rendita, largamente dovuta proprio a quegli accordi di fornitura di energia all’Occidente. Nel 2022 il Pil della Federazione Russa era infatti del 15 per cento inferiore a quello italiano ed inferiore alla capitalizzazione di borsa della sola Apple.
Con l’invasione dell’Ucraina l’economia russa è cresciuta del 3,5 per cento, grazie alle spese belliche, ma rimane comunque molto debole dal punto di vista strutturale, soprattutto nella produzione di beni di consumo per una popolazione da tempo sfibrata dall’ineguaglianza sociale e dall’autoritarismo politico.
Oltre ad un muscolare ma vago messaggio rivolto all’esterno, la nazionalizzazione dell’italiana Ariston Thermo – che produce scaldabagni – e della tedesca BSH Hausgeraete – che gestisce i marchi di elettrodomestici di Siemens e Bosch – così come la nazionalizzazione già avvenuta della birra danese Carlsberg e del latte francese Danone, devono essere viste come un forte messaggio rivolto soprattutto all’interno, per dimostrare al popolo russo che il governo interviene per garantire quei beni di consumo che nella propaganda putiniana l’Occidente vuole negare e che invero la crisi industriale interna dell’economia russa non riesce da tempo più a garantire.
Nel contempo è un ulteriore messaggio agli oligarchi fedeli, che possono acquisire a prezzi stracciati impianti da imprese internazionali di fatto indotte ad andarsene.
Nazionalizzando latte, birra e acqua calda, Putin e i suoi boiardi intendono dare segnali interni di normalizzazione post- sovietica ai propri sudditi, con misure clamorose ma irrilevanti sul piano internazionale, che colpiscono settori che non sono certo strategici sul piano militare o tecnologico, ma altamente significativi e simbolici per un Paese che registra oggi indici di diseguaglianza fra i più alti al mondo, ora pari ormai a quelli della lontana Russia zarista.