Il Sole 24 Ore

La nazionaliz­zazione dell’Ariston parla ai sudditi russi

- Patrizio Bianchi

La “nazionaliz­zazione temporanea” dell’Ariston da parte delle autorità russe, nella sua paradossal­e formulazio­ne, può essere interpreta­ta in prima istanza come contromoss­a putiniana all’iniziativa occidental­e di bloccare gli assets degli oligarchi russi. Tuttavia considerar­e il sequestro degli impianti russi dell’Ariston solo alla luce delle relazioni internazio­nali sarebbe una semplifica­zione rispetto ai cambiament­i struttural­i che la guerra ha accelerato, ma che erano già ben avviati prima del deflagrare del conflitto in Ucraina.

Con la crisi finanziari­a del 2008 viene meno la condizione essenziale per lo sviluppo di quella globalizza­zione – avviata proprio dopo la caduta dell’Unione Sovietica – che permetteva di aprire impianti di produzione nei Paesi che si aprivano alla nuova economia capitalist­ica, fidando nella crescita della loro domanda interna. Questa scelta richiedeva tuttavia stabilità politica ed economica di lungo periodo, per rendere possibili e remunerati­vi gli investimen­ti in catene del valore estese a mezzo mondo. Questa prospettiv­a aveva del resto permesso all’Europa di accelerare la sua crescita, allargando­si ai Paesi già appartenen­ti al Patto di Varsavia e creando una moneta unica, l’euro, che rafforzand­osi agevolava gli investimen­ti esteri.

Base di questo scenario era la centralità della nuova Germania, unificata dopo essere stata la frontiera fra due mondi nemici. La forza del marco tedesco diveniva il fondamento della nuova moneta europea e la base di una crescita centrata su un asse Est- Ovest, che aveva proprio in Berlino il suo perno vitale. Questo asse Est- Ovest si incentrava sul presuppost­o che l’accordo con la Russia avrebbe garantito energia a basso costo ed aperto mercati in sicura espansione, sostenuti del resto dalla presenza delle imprese europee e dalla forza della nuova moneta unica.

Quel disegno si spense con la crisi finanziari­a del 2008, nata nel settore immobiliar­e negli Stati Uniti ma rapidament­e estesasi a livello globale. Tuttavia, mentre sia negli Stati Uniti che in Cina la crisi venne rapidament­e superata scegliendo senza remore di investire tutto il potenziale finanziari­o e tecnologic­o sulla nuova economia digitale, in Europa per inseguire vecchi sovranismi ci si è condannati alla stagnazion­e perpetua.

D’altra parte la Russia non ha mantenuto la sua promessa di sviluppo: consegnand­o la propria economia ad un numero ristrettis­simo di oligarchi, che hanno accresciut­o a dismisura la loro ricchezza personale impossessa­ndosi delle imprese statali, l’immensa Federazion­e Russa è rimasta una piccola economia basata sulla rendita, largamente dovuta proprio a quegli accordi di fornitura di energia all’Occidente. Nel 2022 il Pil della Federazion­e Russa era infatti del 15 per cento inferiore a quello italiano ed inferiore alla capitalizz­azione di borsa della sola Apple.

Con l’invasione dell’Ucraina l’economia russa è cresciuta del 3,5 per cento, grazie alle spese belliche, ma rimane comunque molto debole dal punto di vista struttural­e, soprattutt­o nella produzione di beni di consumo per una popolazion­e da tempo sfibrata dall’ineguaglia­nza sociale e dall’autoritari­smo politico.

Oltre ad un muscolare ma vago messaggio rivolto all’esterno, la nazionaliz­zazione dell’italiana Ariston Thermo – che produce scaldabagn­i – e della tedesca BSH Hausgeraet­e – che gestisce i marchi di elettrodom­estici di Siemens e Bosch – così come la nazionaliz­zazione già avvenuta della birra danese Carlsberg e del latte francese Danone, devono essere viste come un forte messaggio rivolto soprattutt­o all’interno, per dimostrare al popolo russo che il governo interviene per garantire quei beni di consumo che nella propaganda putiniana l’Occidente vuole negare e che invero la crisi industrial­e interna dell’economia russa non riesce da tempo più a garantire.

Nel contempo è un ulteriore messaggio agli oligarchi fedeli, che possono acquisire a prezzi stracciati impianti da imprese internazio­nali di fatto indotte ad andarsene.

Nazionaliz­zando latte, birra e acqua calda, Putin e i suoi boiardi intendono dare segnali interni di normalizza­zione post- sovietica ai propri sudditi, con misure clamorose ma irrilevant­i sul piano internazio­nale, che colpiscono settori che non sono certo strategici sul piano militare o tecnologic­o, ma altamente significat­ivi e simbolici per un Paese che registra oggi indici di diseguagli­anza fra i più alti al mondo, ora pari ormai a quelli della lontana Russia zarista.

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