L’antidoto contro l’odio è rendere virale la generosità
Nel suo ultimo libro Chris Anderson, imprenditore fondatore di Ted, racconta come Internet possa esprimere il potenziale benefico
« Che ne dite finalmente di reagire? Dobbiamo cercare di scoprire e condividere la generosità » . Quello di Chris Anderson, imprenditore britannico classe 1957 e padre fondatore delle conferenze mondiali note come Ted, è un invito a spezzare il giogo che alimenta quel rumore di fondo fatto di cattive notizie che diventano sempre più virali. La soluzione sta nelle belle storie che si annidano ovunque nel mondo e che declinano al meglio la generosità, che può diventare contagiosa anche in quell’agone digitale abitato da odiatori di ogni sorta e rappresentato plasticamente dalle piattaforme social. In fondo è ciò che ha fatto anche Anderson, quando all’inizio della sua carriera nel giornalismo dalle Seychelles, dove all’epoca abitava, aveva creato un servizio di buone notizie da leggere e da emulare. « Viviamo un paradosso: le anime generose spesso non vogliono dar fiato alle trombe. Ci viene insegnato che gli atti di generosità devono essere compiuti con modestia e lontano dalle luci della ribalta. Non a caso spesso censuriamo chi sembra ostentare la propria gentilezza. Ma tutto questo ha una tragica conseguenza: le storie che potrebbero amplificare la generosità vengono taciute. Il che consegna lo spazio della conversazione pubblica ai nostri istinti più oscuri. Nella turbolenta battaglia dell’attenzione abbiamo la responsabilità morale di condividere anche le nostre storie. Ne abbiamo bisogno se vogliamo cambiare la narrazione » . È il bicchiere mezzo pieno quello raccontato da Anderson, autore del best seller americano tradotto in Italia col titolo « Generosità contagiosa » per Egea, casa editrice dell’Università Bocconi. D’altronde anche le sue conferenze partono da un payoff che è un mantra di positività: idee di valore da divulgare. Così accanto all’evento annuale di Vancouver, la rapida concessione di licenze Ted racconta come ogni giorno in qualche parte del mondo si svolgano in media dieci incontri organizzati da un esercito di quarantamila volontari. Anche in questo modo la generosità diventa contagiosa. « La sua carica virale dipende da due fattori: la natura umana e la connettività dell’era moderna. Oggi siamo tentati di liquidare Internet definendola come spirale di tossicità. Ma se vediamo Internet come una massa spaventosa e disumana di sconosciuti pronti a giudicarci e a sfruttarci, sarà difficile affidarle le nostre migliori intenzioni. Invece se online facciamo lo sforzo di connetterci agli altri con spirito di generosità, Internet potrà esprimere il suo potenziale benefico » , precisa Anderson. Gli esempi si annidano nel nostro smartphone scrollando post e video. Basta solo saperli intercettare. « Un ingegnere in pensione diffonde competenze preziose su YouTube, un artista condivide un’opera che provoca e incanta, un individuo rilancia un atto di coraggio umano che ispira milioni di persone, un’azienda offre corsi gratuiti su un argomento tecnico in cui è specializzata, uno scrittore dà risalto a una causa importante che una comunità digitale può finanziare o qualcuno si sveglia grato per qualcosa nella sua vita e decide di ricambiare, innescando in rete una reazione a catena. Tutti possono fare qualcosa di potenzialmente virale. Gli ingredienti per rendere contagiosa la generosità si nascondono sotto i nostri occhi » , dice Anderson. Aggiungendo una sfida che appare titanica: quella di aggiustare Internet. « È una delle priorità assolute dell’umanità. La civiltà poggia su fiducia e cooperazione e oggi la rete le sta erodendo. Il problema è che le piattaforme di social media sono state progettate sulla base di una comprensione pericolosamente ingenua della natura umana, ovvero la convinzione che per creare qualcosa che piacesse alla gente bastasse ottimizzarle in base alle preferenze degli utenti. L’impatto delle preferenze dipende in tutto e per tutto da quale parte di noi viene attivata » . Sul banco degli imputati c’è anche quell’intelligenza artificiale dal valore neutrale che va schierata a favore di gesti generosi, gentili. « Siamo agli albori di una nuova era che vedrà il mondo stravolto dall’AI. Bisogna addestrarla per rendere la rete un posto più positivo. Abbiamo disperatamente bisogno di cose che ci uniscano » , dice Anderson. A fare la differenza possono essere le organizzazioni pubbliche e private. Di più, le persone che vi lavorano. « Ogni azienda è composta da persone la maggior parte delle quali gradirebbe dare un contributo positivo al mondo. Un tempo le imprese si arricchivano soprattutto grazie alle infrastrutture fisiche. Oggi creano valore non per i macchinari o per l’estrazione di risorse, ma grazie alle persone. Se lavorate in un’azienda potete fare la vostra parte. Un numero esiguo di dipendenti organizzati può cambiare radicalmente la strategia aziendale » , conclude Anderson. È la forza plurale del capitale umano. Lo scriveva già nel 1984 il filosofo austriaco Paul Watzlawick. « Perché è così difficile rendersi conto che la vita è un gioco a somma diversa da zero? Che si può vincere insieme, superando l’ossessione di dover battere qualcuno per non esserne battuti? » .
I social sono progettati sulla base di una comprensione pericolosamente ingenua dell’umano