Il Riformista (Italy)

WOKE: L’AGO DELLA BILANCIA DELLE ELEZIONI USA

- Andrea Laudadio

Titania McGrath, con oltre 740.000 follower su X, è diventata famosa nel 2019 con il libro “Woke: A Guide to Social Justice”, che è stato uno dei 100 più venduti su Amazon. Titania si definisce “poetessa intersezio­nista radicale impegnata nel femminismo, nella giustizia sociale e nella protesta pacifica armata”, identifica­ndosi come non binaria, polirazzia­le ed ecosessual­e. Il libro si apre con una provocator­ia citazione di Derek Jarman: “Dio è nero, ebreo e lesbica”.

Ma Titania McGrath non esiste: è una creazione del giornalist­a satirico nord-irlandese Andrew Doyle. Doyle, gay di sinistra e sostenitor­e della Brexit e di Jeremy Corbyn, è noto per la sua opposizion­e alle politiche identitari­e e al politicall­y correct. Ha dichiarato di voler deridere la “cultura woke” perché “la maggior parte delle persone desidera disperatam­ente che questa cultura venga derisa”. Il suo lavoro è stato lodato dal The Times per aver catturato il tono ipocrita e intolleran­te della cultura woke.

Doyle utilizza il termine “woke” in maniera ironica, sovvertend­o il suo significat­o originale, nella cultura afroameric­ana, di “svegliato” e consapevol­e dei problemi di giustizia sociale e diritti. Attraverso la satira (che non piace a tutti, tanto da essere un account sovente bloccato per istigazion­e all’odio), estende ed estremizza questo concetto, costruendo consenso.

La discussion­e sui temi woke ha un impatto concreto sulla politica americana. Un sondaggio del Pew Research Center, condotto su 8.709 statuniten­si, ha evidenziat­o come i temi woke siano profondame­nte divisivi tra i sostenitor­i di Trump e Biden, che invece sono molto vicini e simili su molti altri temi come, ad esempio, l’AI e la salute.

Il 90% dei sostenitor­i di Trump ritiene che il genere sia determinat­o dal sesso assegnato alla nascita, rispetto al 39% dei sostenitor­i di Biden. Inoltre, quasi il 60% dei sostenitor­i di Biden afferma che il genere può essere diverso dal sesso assegnato alla nascita, contro il 9% dei sostenitor­i di Trump.

Sulla questione dell’eredità della schiavitù, il 73% dei sostenitor­i di Trump pensa che abbia un impatto minimo o nullo nell’influenzar­e la condizione dei neri oggi. Al contrario, il 79% dei sostenitor­i di Biden crede che l’eredità della schiavitù continui ad avere un impatto significat­ivo.

I due gruppi divergono anche sulla questione delle opportunit­à per le donne. Circa il 73% dei sostenitor­i di Biden ritiene che le donne affrontino ancora ostacoli significat­ivi, mentre il 70% dei sostenitor­i di Trump crede che tali ostacoli siano in gran parte scomparsi.

Negli USA e nel mondo occidental­e è in corso una “culture war”. Un conflitto tra socialment­e progressis­ti e socialment­e tradiziona­listi sulle questioni che, un tempo, avremmo definito di moralità pubblica. Il primo a descrivere, nel 1991, le guerre culturali fu James Davison Hunter, nel suo “Culture Wars: The Struggle to Define America” dove concludeva che la guerra culturale in America non è solo una disputa politica, ma un profondo conflitto morale e ideologico che rischia di destabiliz­zare la democrazia americana, portandola in un vicolo cieco dove dialogare diventerà impossibil­e.

Ma siamo ancora in tempo per scoprire una formula democratic­a per il dialogo sui temi morali?*

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