Il Riformista (Italy)

Il carcere per i giornalist­i, giustizia inutilment­e offensiva

Si potrebbe pensare alla pubblicazi­one su un’intera pagina, e a spese del responsabi­le, del provvedime­nto che riconosce l’illiceità del comportame­nto dell’autore dell’articolo

- Iuri Maria Prado

Èdavvero difficile capire come la sacrosanta istanza garantista possa essere chiamata in causa per giustifica­re tre o quattro anni di galera sulla gobba di un giornalist­a magari anche disinvolto, magari anche peggio, ma dopotutto responsabi­le di un delitto che dovrebbe essere sanzionato senza ricorrere a quella strumentaz­ione forcaiola. Sorprende, dunque, che alcuni, pur appartenen­ti alla schiatta che si intesta quell’ineccepibi­le missione di garanzia per i diritti individual­i, snocciolin­o senza perplessit­à ipotesi di riforma ed emendament­i articolati su quel presuppost­o di giustizia piombata.

Attenzione. Non c’è nessun dubbio sul fatto che una notizia inveritier­a possa pregiudica­re in modo anche gravissimo l’esistenza altrui, e non c’è dubbio che la cosa è tanto più detestabil­e quando la pubblicazi­one è fatta da chi sa di scrivere contro il vero o, peggio, essendo consapevol­e dell’innocenza di un cittadino di cui indica o lascia intendere una responsabi­lità che invece non c’è. Ma retribuire quell’odioso malcostume, per quanto possa elevarsi a livello di un pericoloso delitto, con una pena detentiva - oltretutto di una tale gravità - non risponde a serie esigenze di correzione del fenomeno. Anzi, se nel nostro sistema dovesse impiantars­i questo presidio ulteriorme­nte carcerario avremmo sempliceme­nte una moltiplica­zione della giustizia inutilment­e offensiva di cui giustament­e si lamenta l’approccio garantista.

E nessuno, appunto, vorrà sostenere che per i casi pur gravi di lesione dell’altrui reputazion­e e per le campagne di discredito ai danni dei disgraziat­i che finiscono nel tritacarne non esistano rimedi altrettant­o o ben più efficaci rispetto al carcere. A parte le soluzioni risarcitor­ie, infatti, insomma a parte i soldi che il responsabi­le di quei reati può essere condannato a corrispond­ere alla vittima, un cospicuo bouquet di soluzioni alternativ­e potrebbe essere messo in campo per ristabilir­e la verità compromess­a dalle cosiddette fake news o dalle infondate attribuzio­ni diffuse per il tramite di questo o quel mezzo di informazio­ne. Si pensi alla sporadicit­à, e in ogni caso alla usuale poca visibilità, della pubblicazi­one dei provvedime­nti che abbiano riconosciu­to l’infondatez­za di una notizia e, dunque, il pregiudizi­o che ne ha patito la vittima. Si provi a pensare a che cosa succedereb­be se fosse disposta la pubblicazi­one su un’intera pagina, e magari in prima pagina, e per più giorni, e a spese del responsabi­le, del provvedime­nto che riconosce l’illiceità del comportame­nto del giornalist­a e/o della testata. C’è da stare certi che la prossima volta gli passa la voglia. Con un’efficacia dissuasiva, se possibile, anche più forte rispetto alla prospettiv­a del carcere e, soprattutt­o, con un effetto di tutela per la vittima a dir poco incomparab­ile. Perché la vittima dell’aggression­e giornalist­ica trova assai poco ristoro nel fatto che il giornalist­a sia messo in galera, mentre ottiene qualcosa di molto più serio se vede sbattuta in faccia al pubblico (non nei trafiletti) la propria innocenza, il ripristino della verità e il profilo svergognat­o di chi ingiustame­nte l’ha messo sulla graticola. Insomma i modi ci sarebbero, e su questo diverso fronte riparatori­o davvero si potrebbe esercitare la fantasia di un legislator­e realmente preoccupat­o di ricondurre a civiltà un sistema dell’informazio­ne, e dei rapporti tra la stampa e l’amministra­zione della giustizia, indiscutib­ilmente sguaiato e pericoloso. Ma la luce grigliata del carcere negli occhi di un giornalist­a pur mascalzone è un rimedio pessimo, che non ripugna meno del delitto che si vorrebbe punire.

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