Strage di Piazza della Loggia cinquanta anni dopo si riapre il processo
Non si può pretendere che centenari ricordino e ricostruiscano cosa è successo 50 anni fa
Che senso può avere celebrare un processo a cinquanta anni di distanza dai fatti? E dopo che ne sono stati già celebrati tre che hanno portato alla condanna definitiva degli imputati?
Stiamo parlando del processo quater per la strage di Piazza della Loggia a Brescia, avvenuta il 28 maggio del 1974 e che provocò otto morti e oltre cento feriti durante una manifestazione sindacale antifascista. Dopo molti anni di indagini, depistaggi e processi, furono riconosciuti colpevoli e condannati alcuni membri del gruppo neofascista Ordine Nuovo. Quali esecutori materiali furono riconosciuti Maurizio Tramonte, condannato in appello, in qualità di “fonte Tritone” dei Servizi, assieme a Carlo Digilio, addetto agli esplosivi, e Marcello Soffiati che trasportò l’ordigno. Come mandante fu condannato Carlo Maria Maggi. Gli altri imputati, tra cui il generale dei carabinieri Francesco Delfino e l’ex segretario del Msi Pino Rauti furono assolti. È considerato uno degli attentati più gravi degli anni di piombo, iniziati con la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (diciassette morti).
Questa mattina a Brescia inizia l’ultimo troncone, quello a carico del veronese Marco Toffaloni, all’epoca diciassettenne. Tutto nasce dalle rivelazioni del collaboratore di giustizia Gian Paolo Stimamiglio al quale Toffaloni, ritenuto militante di Ordine Nuovo, avrebbe riferito di “aver avuto un ruolo tutt’altro che marginale nella strage”. Gli inquirenti hanno acquisito una fotografia del giorno della strage che ne attesterebbe la sua presenza in piazza della Loggia pochi istanti dopo l’esplosione. A seguito di una perizia antropometrica è stata poi effettuata una comparazione tra questa fotografia e altre ritraenti Toffaloni nella stessa epoca, sequestrate presso i suoi genitori. I risultati della perizia avrebbero allora confermato la presenza di Toffaloni sul luogo della strage. Toffaloni, interrogato sui fatti per rogatoria (poiché residente in Svizzera), si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere.
Secondo l’accusa sarebbe però lui, insieme a Roberto Zorzi, condannato all’ergastolo, un altro esecutore materiale della strage. Scorrendo le liste dei testimoni depositate da Procura, parti civili e difesa, emerge che molti testimoni che dovrebbero raccontare cosa accadde hanno tra i 90 e i 100 anni. L’elenco presentato degli avvocati Stefano Casali ed Edoardo Lana, difensori dell’allora giovane ordinovista, ora cittadino americano, è di 113 persone.
Il più anziano è il bresciano Giovanni Majorana, 101 anni, che dovrà deporre sul “presunto covo di ‘Anno Zero’, vicolo cieco posto in via Aleardi dove Silvio Ferrari e Ombretta Giacomazzi si sarebbero incontrati coi militari dei carabinieri per scopi illeciti”. Il 97enne Antonio Barbato, all’epoca carabiniere a Verona, è invece citato sugli “eventuali accessi di Silvio Ferrari e Ombretta Giacomazzi nel 1974 presso il Comando militare”.
Il 92enne Lucio Inneco, generale di corpo d’armata dell’esercito, ufficiale con l’incarico di capo ufficio alla base Nato di Verona, viene chiamato sui rapporti avuti con gli americani. Stesso ruolo per l’allora carabiniere Domenico Pisani, classe 1933. E poi Giovanni Mannarino, 92 anni, anch’egli carabiniere nel 1974 in servizio a Parona, frazione di Verona, “su eventuali riunioni straordinarie rispetto alla normale e lecita attività di un caserma dei carabinieri”. Stessa età per Bruno Tuttopetto, altro carabiniere, tra gli autori delle indagini all’epoca. Gli avvocati delle parti civili hanno chiamato solo 17 testi, mentre la Procura chiede di ascoltare i racconti in aula di 47 persone. La strage è un reato punibile con l’ergastolo e non va mai in prescrizione. Ma è anche vero che ad un certo punto bisognerebbe fermarsi. Non si può prendere che centenari ricordino cosa è successo 50 anni fa.
A distanza di decenni, i processi di questo tipo rischiano poi di essere travolti da suggestioni e, come nel passaparola, un episodio tramandato nel corso del tempo di bocca in bocca viene completamente stravolto. La differenza rispetto al passaparola è che di solito la persona che può smentire tale deformazione non c’è più.
Forse allora sarebbe meglio passare la palla agli storici.