Quale futuro per il Camerun?
La domanda è se la situazione di crisi con la minoranza anglofona possa compromettere la longevità di Biya e l’assetto internazionale del paese
Il Camerun è uno dei tanti paesi che compongono il continente africano. Si trova sotto la Nigeria, in una porzione centrale dell’Africa che viene bagnata dall’Atlantico. Nel 1884 un trattato firmato con due sovrani locali rese l’area ove sorge odiernamente il paese un protettorato tedesco. Questo permise a Berlino di inserirsi nella corsa all’Africa in competizione coi francesi e con gli inglesi. I tedeschi cominciarono le loro attività dalla costa, gestendo piantagioni agricole prima controllate dalle popolazioni autoctone. Questo non creò molti problemi, almeno fino a quando i tedeschi decisero di imporsi come intermediari tra le popolazioni costiere e quelle interne, togliendo alle prime un elemento decisivo per il loro prestigio. Quando la penetrazione tedesca nell’entroterra cominciò si svilupparono diverse forme di interazione tra loro e le varie élites che gestivano i territori interni, dettate sia dall’alternanza tra metodi militari e non sia dalla convenienza che, talvolta, le stesse élites potevano riscontrare nel dare appoggio ai colonizzatori. In ogni caso fu solo nel 1906 che la Germania acquisì un controllo effettivo su gran parte del territorio camerunese. Controllo destinato a durare poco, visto che con la Prima guerra mondiale francesi e inglesi furono in grado di conquistare il Camerun con una campagna militare culminata con la presa della capitale Yaoundé. È da qui che comincia la storia più recente di questa nazione, poiché dopo la guerra la Società delle Nazioni creò due mandati da affidare a Francia e Gran Bretagna. Il primo assorbiva la maggior parte del territorio camerunese, mentre il secondo risultava più piccolo e vicino alla Nigeria già sotto controllo britannico. Questo portò addirittura a far parlare di colonia nella colonia, poiché l’amministrazione della colonia nigeriana aveva de facto marginalizzato quella camerunese, ritenuta meno rilevante. Anche grazie a questo complesso retroterra la questione dell’indipendenza emerse piuttosto rapidamente. Nel 1960 fu il Camerun francese a dichiararla, e presto anche quello inglese dovette prendere una decisione scegliendo tra l’unione col Camerun francese o l’adesione alla Nigeria. L’anno seguente il Camerun inglese si unì a quello francese già indipendente. Dal punto di vista politico l’unione era stata conseguita, ma internamente il tratto identitario del Camerun avrebbe cominciato a risentire del contrasto tra la maggioranza francofona e una minoranza anglofona nella popolazione. La presenza di questo elemento di contrasto si deve proprio al fatto che il mandato francese aveva coperto gran parte del territorio, mentre la minoranza anglofona risulta radunata nelle aree prossime al confine nigeriano. È da questo problema che scaturisce la cosiddetta crisi anglofona, iniziata nel 2017, quando la regione dell’Ambazonia ha tentato la secessione con l’uso della forza a causa di incomprensioni legate alla frattura identitaria delle origini. Da quel momento in Camerun è iniziato un conflitto su piccola scala, nel quale si manifestano le classiche dinamiche di guerra asimmetrica; con i secessionisti intenti a compiere azioni di minore impatto ma in modo più duraturo e le forze camerunesi impegnate ad attuare tattiche di controinsurrezione assieme a missioni di ricerca e distruzione. Tuttavia queste informazioni non dovrebbero suscitare l’impressione del solito paese africano destabilizzato e pericoloso, poiché il Camerun si dipinge come una particolare singolarità del continente. Si tratta, ad esempio, di uno dei pochissimi paesi africani in cui un colpo di stato non ha mai avuto successo. Non si sono mai verificati violenti sconvolgimenti per ottenere il potere. Inoltre bisogna considerare che l’attuale presidente, Paul Biya, è in carica dal 1982. Questo ha reso il Camerun un paese interessante in virtù del contesto locale, conferendo così al Camerun una posizione geostrategica importante. Infatti quello di cui parliamo è un paese da sempre alleato e sostenuto dalla Francia, la quale lo ha peraltro reso un baricentro della sua strategia di influenza economica. Alcuni analisti osservano però che la Francia, dato il suo recente cambio di strategia, indirizzerà la sua attenzione verso l’Indo-Pacifico e la Penisola Arabica continuando ad operare indirettamente in Africa sfruttando alcuni alleati forti e maggiormente affidabili. Appare chiaro che il Camerun potrebbe rivestire questo ruolo proprio grazie alla sua tradizione di stabilità, ma la domanda è se la situazione di crisi con la minoranza anglofona possa compromettere la longevità di Biya e l’assetto internazionale del paese. Il Camerun è stato oggetto di investimenti quantificabili tra uno e cinque miliardi di dollari da parte della Cina, anche a causa della vicinanza con le zone economiche speciali nigeriane sfruttate da Pechino. L’evoluzione della crisi aiuterà quindi a capire il futuro dell’area, dove si gioca una delle tante partite del nuovo scenario internazionale.
L’Italia è un popolo di santi, poeti e marinai. O almeno lo era, perché a casa nostra attualmente non pare di vedere personaggi particolarmente virtuosi o ispirati. I grandi marinai invece ci sono ancora. Parola di Francesco Ettorre, Presidente della Fiv, la Federazione italiana vela che assicura: “Stiamo vivendo il momento migliore della nostra storia”. Nessun problema neppure per ciò che riguarda gli impianti: la palestra dei velisti è il mare e l’Italia ovviamente è favorita dalla propria collocazione nel Mediterraneo. Senza contare che “abbiamo anche laghi molto importanti”, ricorda Ettorre. I problemi casomai si verificano a terra, dove lo sviluppo dei circoli nautici ha subito una battuta d’arresto a causa dell’incertezza generata dall’applicazione della direttiva Bolkenstein. Il vento comunque arriva da poppa, senza dubbi. “Siamo un movimento in costante crescita, favoriti anche dal fatto di non avere avuto particolari problemi con la pandemia. Il contesto nel quale si pratica questo sport ci ha aiutato molto”, assicura il presidente. Così, nell’ultimo triennio, il segno “più” l’ha fatta da padrone e il numero dei tesserati è schizzato a 150 mila unità, con una sostanzialmente equa divisione tra la presenza maschile e quella femminile. Anche i risultati sono eccezionali e confermano il momento magico della vela tricolore. L’oro olimpico di Tokyo 2020 conseguito da Caterina Banti e Ruggero Tita nel Nacra17 ha coronato una rincorsa lunga 21 anni. Ad accendere speranza e attese sono anche i giovani, i migliori al mondo stando alle parole del presidente: “Il recente test event di Marsiglia, dove nel 2024 si disputeranno le Olimpiadi, ha parlato chiaro: un oro e due bronzi”. Il successo olimpico del 2021 ha assunto un significato ulteriore e ha collocato il mondo della vela in una posizione di testa nella sfida della parità e dell’integrazione. “È stato bello vincere grazie alla prestazione di un equipaggio misto”, ammette Ettorre.
La vela insomma riesce ad abbattere ogni barriera, anche quella delle disabilità. Il “Parasailing” rappresenta attualmente una delle poche competizioni sportive dove gareggiano insieme normodotati e portatori di disabilità. “Credo che sia un messaggio importante per il Paese; spesso lo sport interpreta in anticipo necessità e sensibilità diffuse”, rivendica il presidente Fiv. Ma come riesce la vela, spesso fuori dai canali più potenti della comunicazione e della diffusione, a catalizzare attenzione, passione e veder aumentare costantemente il numero degli appassionati? Due parole sembrano fornire la risposta: libertà e avventura. “Credo che a un ragazzo basti provare questo sport una volta per innamorarsene perdutamente. Dal primo momento si è comandanti della nostra barca e viviamo una sensazione di pace totale in mezzo al mare, consapevoli di dover operare per governare elementi naturali come il vento e il mare”, ricorda Ettorre. C’è un elemento però che costituisce un traino potente per questo mondo: la Coppa America, che dai tempi di Azzurra - passando per il Moro e arrivando a Luna Rossa - ha risvegliato in tantissimi italiani quell’animo marinaresco appartenuto ai loro avi. Chi pensasse che questa competizione, così fortemente caratterizzata da business e interessi economici, poco avesse a che fare con il movimento velistico “ufficiale”, virerebbe in maniera troppo audace, rischiando di scuffiare clamorosamente.
“Se c’è una vela e c’è il mare noi ci siamo”, assicura Ettorre. Con Luna Rossa è stata attivata una collaborazione molto stretta e molti degli atleti che sono sulla barca provengono dalle classi olimpiche della Fiv. La vela, insomma, si presenta come uno sport per tutti, praticabile a ogni livello, facilmente raggiungibile grazie alle 780 società presenti lungo tutto lo Stivale. “Un corso di vela è sicuramente meno costoso di tante altre attività; dobbiamo però vincere la sfida della complessità che caratterizza questa disciplina”, ammette Ettorre. Gratificato da un fattore che ad alcuni potrebbe sembrare secondario: “La maggior parte dei velisti, anche campioni, ha conseguito la laurea, riuscendo a combinare attività agonistica e impegno scolastico”. I rivali di sempre sono avvisati: Usa, Australia, Nuova Zelanda e, in Europa, Spagna, Francia e Inghilterra sono pronte a dare battaglia. A cominciare dalle Olimpiadi del 2024.