Le parole guidano le guerre: necessità, sicurezza, terrore
La guerra è un prodotto da vendere all’opinione pubblica. Un prodotto difficile perché la guerra danneggia tutti e fa bene a pochissimi, in primis a quelli che hanno incassato i 2.400 miliardi di dollari spesi per le armi nel 2023. Per “piazzarla” alla gente c’è bisogno di bugie. In una dittatura è molto facile: colpisci un ospedale? Era una base militare! Facile perché il dittatore controlla tutti i mezzi di comunicazione. In democrazia invece c’è libertà di stampa (negli ultimi anni sempre più apparente) e quindi bisogna costruire una narrazione bellicista. Bisogna convogliare nella stessa direzione il dibattito pubblico, fare in modo che non ci sia spazio per opinioni critiche, così da addormentare i dubbi delle persone e convincerle che la guerra sia giusta, necessaria, inevitabile. In questo le parole, soprattutto le parole del giornalismo, hanno un ruolo cruciale.
OMICIDIO MIRATO
Quando un drone dall’alto spara un missile e uccide un presunto terrorista, come ce la raccontano? È stato un omicidio mirato. In realtà è solo un omicidio, un’esecuzione senza processo, ma suona meglio così perché i “nostri” non sono assassini, sono i buoni. Che poi mirati questi omicidi non lo sono mai se si considera che in otto conflitti i droni hanno fatto oltre 72 mila vittime civili.
ATTACCO PREVENTIVO
“Salve, lei è nell’età per uno screening di prevenzione”;“campagna di prevenzione vaccinale”; “Attacco preventivo di Israele sul Libano”. Suona come una cosa buona, peccato che nessuno sottolinei che in una catena di guerra il prima e il dopo si perdano: chi ha iniziato? Chi ha risposto? Chi ha prevenuto? Tutte balle come quelle che hanno giustificato l’invasione (anch’essa preventiva) dell’iraq nel 2003. Bilancio: tra i 280 e i 315mila morti.
OPERAZIONE
Guerra suona male, magari spaventa i bambini e allora se Putin invade l’ucraina cos’è se non un’operazione speciale? E la guerra di Israele a Gaza? È l’operazione “Spada di Ferro”. Quella in Cisgiordania? È un’operazione anti-terrorismo. Ci vergogniamo di chiamarle guerre ma non di farle.
UN PASSAGGIO NECESSARIO
Sapete chi ha usato questa frase? Hamas nel definire l’operazione diluvio di Al Aqsa, cioè l’attacco del 7 ottobre: 1.100 morti, per lo più civili. Una strage definita “un passaggio necessario e una risposta normale”. Sì, l’hanno detto sul serio.
INTELLIGENZA
Una parola che ingentilisce ordigni letali trasformandoli in “bombe intelligenti”. Nessuno però ricorda mai che a usarle sono uomini stupidi. La bomba intelligente colpisce con precisione un bersaglio, ma non è detto che sia quello giusto: vittime innocenti, “effetti collaterali”. Adesso di moda va l’intelligenza artificiale come quella del sistema di acquisizione obiettivi israeliano Lavender. Ha ridotto Gaza in macerie, per rimuoverle tutte ci vorranno dieci anni con 100 camion al giorno. Devastazione intelligente?
INSEDIAMENTI
Ma se quelli israeliani sono coloni perché le terre che sottraggono illegalmente ai palestinesi le chiamiamo insediamenti e non colonie? Al riguardo, che fine ha fatto l’assioma invaso-invasore usato dopo il 24 febbraio per stroncare il dibattito sullapace? Scomparso, forse perché per essere coerenti avremmo dovuto mandare armi ai palestinesi?
SICUREZZA
Per che cosa si combattono le guerre? Per le sfere di influenza, per l’energia, a breve per l’acqua. Ma ce la raccontano mai così? No, ci dicono che si combatte per la sicurezza come dopo l’11 settembre. Bilancio delle guerre al terrore: 1 milione di vittime dirette cioè da combattimenti e quasi 4 milioni di vittime indirette tra malattie, carestie, distruzione di strutture sanitarie. L’unica sicurezza che genera la guerra è la sicurezza che ci saranno altre guerre.
OBLIO
Questa parola non la usiamo, la pratichiamo direttamente. Perché si parla solo di Ucraina e Medio Oriente e non del conflitto in Sudan con i suoi 10 milioni di sfollati e forse 50 mila morti? Perché non ci interessa, cioè non risponde ai nostri interessi. E perché abbiamo smesso di parlare di Afghanistan o Libia cioè del dopo guerra? Perché non vogliamo far sapere che in guerra chi rompe non paga, i cocci sono di chi resta, cioè delle popolazioni locali.
DIFESA
Dovrebbe chiamarsi ministero alla guerra, quello che accumula armi, invece lo chiamiamo “alla difesa” come le forze di difesa, cioè l’esercito che ha sfollato l’80% della popolazione di Gaza. L’uccisione di 40 mila persone rientra nel diritto alla difesa di Israele? Quando diremo chiaramente che ciò che si usa per la difesa può essere usato per l’offesa? Che difesa è solo un sinonimo di guerra?
PIOVE
Avete fatto caso come quando un missile colpisce l’ucraina i media ci ricordano sempre che era un missile russo? Giusto, è cronaca. Ma allora perché a Gaza le persone “muoiono” e non diciamo mai chi le uccide? Perché “piovono bombe” se le sganciano gli aerei israeliani e non le nuvole? “Cadono bombe”. Prima o poi arriveremo a chiederci come stanno, se dopo la caduta si sono fatte male.
GENOCIDIO
Dopo l’invasione dell’ucraina, i nostri opinionisti con l’elmetto usavano la parola genocidio ogni tre frasi. Adesso se parli di genocidio in Palestina non conosci il diritto internazionale. Io personalmente mi affido alle decisioni della Corte internazionale di giustizia dell’onu, vedremo. Intanto la discussione su questa parola diventa un modo per dimenticare la sostanza, cioè che è urgente fermare la strage di oltre 40 mila civili in stragrande maggioranza donne e bambini, cioè non combattenti
GIORNALISTICIDIO
Questa parola non la sentite mai o quasi mai. Israele ha ucciso 116 tra giornalisti e operatori dei media mentre impedisce alla stampa internazionale di entrare a Gaza. Non ci devono essere testimoni. Meno male che c’è Tiktok! Ah no? Quello dobbiamo chiuderlo, perché è un’arma cinese per manipolare il pubblico occidentale. L’unica disinformazione ammessa è quella nostra.
I NOSTRI VALORI
Finalmente non finanziamo più un dittatore che organizza elezioni farsa e le vince con quasi il 90%. Basta gas russo. Adesso in linea con i “nostri valori” il gas lo compriamo dall’algeria dove un dittatore tenuto in sella dall’esercito vince elezioni farsa con il 94%
NEMICI E VITTIME
Il doppio standard è il punto di rottura della narrazione bellicista. L’informazione e la politica si indignano per le azioni del nemico, ma condonano l’alleato quando commette gli stessi orrori. Perché ci siamo, giustamente, indignati per le fosse comuni a Bucha ma non per quelle a Gaza? Perché senza nemico una guerra non esiste. La narrazione aiuta a “costruirlo”, a renderlo un giorno ridicolo, un giorno pericolosissimo. Chi chiede pace ed è contro la guerra, non vede né nemici né alleati, sta dalla parte delle vittime, tutte.
CORAGGIO
In un momento di enorme pericolo per l’umanità, ognuno di noi dovrebbe rivendicare che la pace non è il partito dei deboli. Oggi ci vogliono più forza e coraggio per chiedere pace che per schierarsi, comodamente, con il partito trasversale della guerra.
Il meccanismo La narrazione aiuta a “costruire” il nemico, a renderlo un giorno ridicolo, un giorno pericolosissimo. Chi è per la pace sta con le vittime, tutte