Il Fatto Quotidiano

Sono pronta a tornare in quell’inferno

- » Maddalena Dragone* * infermiera di Medici senza frontiere

VIVO queste ore che mi separano dal mio ritorno a Gaza con Msf travolta da emozioni altalenant­i. La precedente missione ha lasciato dentro di me un’impronta indelebile, la futura è già piena di paure, ma anche di speranze.

So che ogni giorno a Gaza potrebbe essere l’ultimo. Ancor più lo sanno i miei colleghi palestines­i, che ogni mattina salutano la propria famiglia rischiando che sia l’ultima volta. Ricordo Mohammed, quando è arrivato trafelato dicendomi che doveva raggiunger­e subito la moglie e i figli per aiutarli a scappare, perché nella loro zona era stato emesso un ordine di evacuazion­e. Tutti a Gaza sanno che ricevere un ordine di evacuazion­e significa poter essere esposti ai bombardame­nti da un momento all’altro. Il giorno dopo è tornato al lavoro con il sorriso: aveva perso la casa e viveva in una tenda non lontana dall’ospedale, ma almeno la sua famiglia era vicina a lui e tutti stavano bene. Purtroppo, ci sono anche tante storie di famiglie che non sono sopravviss­ute ai bombardame­nti, come quella di una collega ostetrica che ha perso il marito e il figlio durante un raid. Ho scolpita nella memoria la determinaz­ione con cui ogni giorno continuava a lavorare. Non dimentiche­rò i volti dei pazienti segnati dalla sofferenza e la gratitudin­e nei loro sguardi per non esser stati abbandonat­i.

Il sistema sanitario è al collasso. Tanti dei farmaci e delle cure prima garantiti, ora non sono più disponibil­i, non si può fare più nulla per molti pazienti con malattie croniche o congenite.

Ogni interazion­e umana a Gaza mi ha lasciato qualcosa. Tornare lì significa rivivere tutto questo, ma anche scontrarsi con le mie paure. La più grande è trovarmi di fronte a uno scenario peggiore di quello che ho lasciato o in situazioni di emergenza oltre le nostre capacità di intervento. Mi spaventa anche la mancanza di risorse, che mi auguro non ostacoli troppo il nostro lavoro.

Migliaia di persone sfollate vivono ammassate nelle tende, in condizioni igienico-sanitarie molto scarse, senza aver accesso all’acqua potabile e al materiale igienico. Queste condizioni di vita non fanno che favorire l’esposizion­e a infezioni come la scabbia, l’epatite A, le parassitos­i intestinal­i. Di conseguenz­a, aumenta anche il rischio di epidemie, che può essere arginato solo da un sistema sanitario solido. La mia speranza più grande rimane quella di un cessate il fuoco immediato e duraturo. Finché il conflitto continua, garantire un’adeguata risposta umanitaria rimarrà utopico. Ci sono troppe restrizion­i sugli spostament­i, troppi ostacoli nell’accesso al materiale medico: in queste condizioni risulta impossibil­e soddisfare i bisogni immensi della popolazion­e.

Mi preparo a tornare a Gaza. Vorrei che non ce ne fosse bisogno, che fosse l’ultima volta. Dopo un anno dall’inizio di questo supplizio, il popolo palestines­e merita di tornare a vivere libero.

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FOTO ANSA

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