Sono pronta a tornare in quell’inferno
VIVO queste ore che mi separano dal mio ritorno a Gaza con Msf travolta da emozioni altalenanti. La precedente missione ha lasciato dentro di me un’impronta indelebile, la futura è già piena di paure, ma anche di speranze.
So che ogni giorno a Gaza potrebbe essere l’ultimo. Ancor più lo sanno i miei colleghi palestinesi, che ogni mattina salutano la propria famiglia rischiando che sia l’ultima volta. Ricordo Mohammed, quando è arrivato trafelato dicendomi che doveva raggiungere subito la moglie e i figli per aiutarli a scappare, perché nella loro zona era stato emesso un ordine di evacuazione. Tutti a Gaza sanno che ricevere un ordine di evacuazione significa poter essere esposti ai bombardamenti da un momento all’altro. Il giorno dopo è tornato al lavoro con il sorriso: aveva perso la casa e viveva in una tenda non lontana dall’ospedale, ma almeno la sua famiglia era vicina a lui e tutti stavano bene. Purtroppo, ci sono anche tante storie di famiglie che non sono sopravvissute ai bombardamenti, come quella di una collega ostetrica che ha perso il marito e il figlio durante un raid. Ho scolpita nella memoria la determinazione con cui ogni giorno continuava a lavorare. Non dimenticherò i volti dei pazienti segnati dalla sofferenza e la gratitudine nei loro sguardi per non esser stati abbandonati.
Il sistema sanitario è al collasso. Tanti dei farmaci e delle cure prima garantiti, ora non sono più disponibili, non si può fare più nulla per molti pazienti con malattie croniche o congenite.
Ogni interazione umana a Gaza mi ha lasciato qualcosa. Tornare lì significa rivivere tutto questo, ma anche scontrarsi con le mie paure. La più grande è trovarmi di fronte a uno scenario peggiore di quello che ho lasciato o in situazioni di emergenza oltre le nostre capacità di intervento. Mi spaventa anche la mancanza di risorse, che mi auguro non ostacoli troppo il nostro lavoro.
Migliaia di persone sfollate vivono ammassate nelle tende, in condizioni igienico-sanitarie molto scarse, senza aver accesso all’acqua potabile e al materiale igienico. Queste condizioni di vita non fanno che favorire l’esposizione a infezioni come la scabbia, l’epatite A, le parassitosi intestinali. Di conseguenza, aumenta anche il rischio di epidemie, che può essere arginato solo da un sistema sanitario solido. La mia speranza più grande rimane quella di un cessate il fuoco immediato e duraturo. Finché il conflitto continua, garantire un’adeguata risposta umanitaria rimarrà utopico. Ci sono troppe restrizioni sugli spostamenti, troppi ostacoli nell’accesso al materiale medico: in queste condizioni risulta impossibile soddisfare i bisogni immensi della popolazione.
Mi preparo a tornare a Gaza. Vorrei che non ce ne fosse bisogno, che fosse l’ultima volta. Dopo un anno dall’inizio di questo supplizio, il popolo palestinese merita di tornare a vivere libero.